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Massimo Villone (Università Federico II di Napoli) – Regionalismo, i turbamenti di Zaia e Stefani

Articolo pubblicato mercoledì 31 luglio 2019 da la Repubblica ed. Napoli.

Regionalismo i turbamenti di Zaia e Stefani

Intervenendo nel primo incontro dell’osservatorio permanente sul regionalismo differenziato del Dipartimento di giurisprudenza dell’università di Napoli Federico II, Luigi Di Maio ha aperto alla possibilità di un ripensamento, nel metodo e nel merito. Ne sono turbati il governatore del Veneto Luca Zaia e il suo clone ministeriale Erika Stefani, che lamenta il silenzio di Di Maio sull’osservatorio «di cui io sento parlare oggi per la prima volta … Dopo un anno di discussioni mi auguro che nessuno voglia rimangiarsi slealmente la parola e l’impegno, di cui il presidente Conte è garante».
Stefani proprio non capisce di essere la causa del problema, e non la soluzione. La tempesta si alza per le cento riunioni che attesta di aver tenuto, ma nel più stretto segreto, e senza dar conto a chicchessia. Per di più giungendo a bozze d’intesa che non trovano preciso riscontro nel contratto di governo e nei pre-accordi Bressa-Gentiloni, rispetto ai quali segnano anzi un’abnorme espansione. In questo segna un punto l’ex ministro Claudio De Vincenti nell’intervista di ieri a Repubblica. Ma dovrebbe anche ammettere che fu comunque un errore, o meglio una precisa scelta, del suo governo firmare i pre-accordi. Che sul punto specifico delle risorse collegavano, in danno del Sud, i fabbisogni al gettito tributario riferibile al territorio.
In questa vicenda non ci sono innocenti.
Certo, è con le bozze Stefani che si vuole regionalizzare la scuola, le sovrintendenze, le autostrade, le strade, i porti, gli aeroporti, le ferrovie e persino la cassa integrazione. O si legalizza il furto trasferendo al demanio regionale infrastrutture strategiche costruite con i proventi delle tasse pagate da tutti gli italiani, e altro ancora. È nelle bozze Stefani che prende maggior forma e sostanza il separatismo del “grande Nord”. Per questo, una slealtà è imputabile proprio a Stefani. Poteva mai condurre in porto una riforma stravolgente per tutto il Paese occultando le carte e chiudendo la porta a qualsiasi interlocutore, o magari aprendola solo agli amici lombardo-veneti e/o leghisti? Se non fosse stata rinviata l’audizione prevista per il 30 luglio nella Commissione per le questioni regionali, sarebbe stato interessante sentire dal ministro Marco Bussetti con quale faccia e perché abbia concordato con Stefani la integrale regionalizzazione della scuola, dopo aver firmato un accordo con i maggiori sindacati che diceva il contrario.
Per Zaia, reca danno al Sud chi blocca l’autonomia. Da sempre, usa due soli argomenti: il referendum veneto, e il cd. “efficientamento”. Abbiamo ripetutamente dimostrato che non valgono un centesimo, e per favore cambi disco.
Nessuno, poi, si è mai impegnato a ridisegnare l’Italia secondo i desideri di Zaia, tanto meno Conte. Anzi, ci pare abbia detto il contrario, e l’incontro di Palazzo Chigi con i sindacati – che, con in testa Maurizio Landini, hanno confermato il loro no all’autonomia differenziata – ne dà conferma.
Tre suggerimenti dall’avvio dell’osservatorio. Il primo a Di Maio, che nell’incontro in Federico II ha profilato un remake del regionalismo differenziato. La nuova proposta sia pubblica, aperta al confronto con tutte le regioni, con studiosi, esperti, organi indipendenti. Si avvii finalmente nel Paese il dibattito che la ministra Stefani ha cercato di impedire. Di Maio non si chiuda in una sua trattativa privata con Salvini, che non sarebbe più commendevole di quella tra Stefani e Zaia. E perché intanto non si rendono pubbliche le carte come a oggi definite? Si sente dire che questo o quel punto già non c’è più. Bene, vediamo. Il secondo suggerimento al premier Conte: nessuno scambio tra fantasmagorici piani Marshall per il Sud e modifiche strutturali dell’assetto del Paese. I piani passano, le riforme restano. Il terzo ai governatori del Sud: dopo che Enrico Rossi per la Toscana ha espresso un fermo no, è urgente una loro posizione comune. Ne prenda la testa Vincenzo De Luca, e non insista nel dire che prima di lui nessuno aveva avvertito il pericolo. È troppo facile dimostrare il contrario.
Non ci faccia ricordare che la colpevole inerzia e la bassa cucina in passato della politica meridionale ha concorso a produrre i guasti di oggi.
Ormai, ci sono due Italie: quella degli egoismi territoriali, bene rappresentata da Stefani e Zaia; e quella degli eguali diritti, cui l’osservatorio della Federico II si candida a dare voce. Ma Stefani e Zaia stiano sereni. La Federico II non dismetterà l’indipendenza di giudizio e non prenderà parte a tifoserie. Nei suoi quasi 800 anni di storia ha conosciuto tempi tanto bui che persino Stefani e Zaia sarebbero sembrati fari di civiltà.

Massimo Villone (Università Federico II di Napoli) – Due milioni di veneti non decidono per l’Italia

Articolo pubblicato lunedì 22 luglio 2019 da la Repubblica ed. Napoli.

Due milioni di veneti non decidono per l’Italia

Sull’autonomia il premier Conte notifica ai governatori che non possono avere tutto quello che chiedono. Sulla scuola, il sottosegretario Giuliano (M5S) informa che «tutto il personale e quindi anche il curricolo, quello che si farà a scuola, rimane di competenza nazionale». Zaia, “basito”, afferma: «Noi veneti ne abbiamo le tasche piene di tutta questa storia … è una autentica presa in giro (copyright Bonaccini, NdA) … a nome dei 2 milioni 328 mila veneti che hanno votato per il sì all’autonomia dico che siamo stanchi, stanchissimi. La misura è colma». Fontana segue a ruota con gli insulti sui “cialtroni” al governo.
Dopo il ceffone, Conte scrive (Corriere della sera, 21 luglio) un – troppo – accorato appello ai cittadini lombardo-veneti. L’aggressività degli aspiranti secessionisti testimonia la loro voglia di farsi Stato. Zaia e Fontana schiumano di rabbia perché con la regionalizzazione integrale del personale della scuola, ora cancellata, già pregustavano una succulenta polpetta di governo di decine di migliaia di docenti e 8 o 10 miliardi in più. Ma non è finita. Sopravvive la disposizione che smantella la potestà legislativa statale in materia di “norme generali sull’istruzione”? Se così fosse, l’intesa rimarrebbe inaccettabile.
Oggi segniamo un piccolo punto per l’unità della Repubblica, ma i rischi per il Sud e il paese sono ancora molti e gravi, dalle risorse all’ambiente, alle infrastrutture, al lavoro, alla sanità e altro ancora. Come sempre, le carte sono nascoste da una fitta nebbia e al popolo sovrano non è dato sapere.
Preoccupa, poi, la bellicosa Stefani: «Chi riesce a garantire servizi efficienti riuscendo a risparmiare dovrà gestire come meglio crede queste risorse. … Premiare e stimolare l’efficienza e punire gli incapaci, sono questi gli obiettivi della Lega per far crescere il Paese» (Libero, 20 luglio). Il mondo della Stefani si divide in incapaci al Sud e virtuosi al Nord, secondo i luoghi comuni – ormai smentiti ampiamente – che hanno inquinato il dibattito. Si vuole o no giungere preliminarmente alla definizione di lep e fabbisogni standard, superando la spesa storica che è in danno del Sud? O si punta al privilegio sulle risorse per le tre regioni, certificato da fonti non sospette come pericoloso per la finanza pubblica e la coesione nazionale? Prepari le armi De Luca, senza illudersi di essere un giorno trattato alla pari.
La Stefani dovrebbe vergognarsi. Se gli stracci volano, è colpa sua e della sua segreta e privatissima trattativa con le regioni. Come ministro della Repubblica avrebbe potuto e dovuto aprire la fase preparatoria alle altre regioni, a esperti, studiosi, organi indipendenti, forze sociali, associando per tempo e non a cose fatte i ministri competenti per materia, informando periodicamente le Camere sugli stati di avanzamento, verificando in corso d’opera gli equilibri realizzabili e i limiti costituzionali e finanziari. Invece, ha consentito, o favorito, che in segreto le bozze di intesa gonfiassero a dismisura i pre-accordi Bressa-Gentiloni, andando ben oltre il richiamo nel “contratto” di governo.
L’errore della Stefani va corretto, riconducendo la discussione sull’autonomia su binari di serietà scientifica, di dati affidabili, di rispetto della Costituzione. Per questo, il Dipartimento di giurisprudenza dell’Università Federico II terrà lunedì 29 luglio la prima riunione dell’osservatorio permanente sul regionalismo differenziato, il cui obiettivo è seguire con continuità e con analisi ragionate i lavori nelle sedi istituzionali. Introdurrà il direttore Staiano, parteciperanno Giannola, Viesti, Esposito, Cerniglia e io stesso. Interverrà Di Maio, con il quale si cercherà una interlocuzione lontana da qualsiasi tifoseria.
Presidente Zaia, la smetta di marciare su Roma con il mantra che 2.328.000 veneti hanno votato sì all’autonomia. Ci rammenta che circa 45 milioni di altri italiani aventi diritto al voto non hanno mai avuto occasione di parlare. Nessuno ha chiesto a loro – invero, nemmeno ai lombardo-veneti – se si dovesse o potesse regionalizzare la scuola, quel che resta del servizio sanitario nazionale, l’ambiente, le sovrintendenze, beni culturali vanto dell’Italia nel mondo, o ancora infrastrutture – pagate con i soldi di tutti gli italiani e poste a garanzia del debito sovrano – che lei vorrebbe ora trasferite al demanio regionale. Anche quei 45 milioni di italiani sono stanchi, stanchissimi. Anche noi ne abbiamo le tasche piene. Anzi, a esser sinceri, lei, con la sua allieva ed emula Stefani, ce le ha proprio sfondate.

Stipendi più alti al Nord e contratti regionali, la scuola a due velocità

Articolo di Corrado Zunino pubblicato mercoledì 10 luglio 2019 da la Repubblica.

Stipendi più alti al Nord e contratti regionali la scuola a due velocità

Quattordici pagine che cambieranno la scuola italiana, così come l’abbiamo conosciuta dal Dopoguerra. Su queste si sta litigando nel governo: sono le “intese” tra Stato e (tre) Regioni, perfezionate lo scorso 15 maggio e tenute nascoste prima delle Europee.
L’autonomia differenziata è andata avanti, dal primo testo di febbraio. Molto avanti. In particolare, il capitolo sulla scuola. Le intese del Veneto di Luca Zaia e della Lombardia di Attilio Fontana con il premier Giuseppe Conte toccano rispettivamente 23 e 20 punti e in entrambi i casi i commi due, tre e nove sono dedicati all’istruzione (e alla formazione professionale, al diritto allo studio universitario e alla ricerca scientifica).
Bene, da pagina 13 a pagina 19 si dettagliano – con un impatto sul resto dell’istruzione italiana esplosivo – le 36 competenze scolastiche che passano dallo Stato alle due Regioni (l’Emilia Romagna chiede autonomia solo sulla formazione professionale). Secondo la nuova intesa, si attribuisce alla Regione interessata «potestà legislativa in materia di norme generali sull’istruzione» (citando l’articolo 117 della Costituzione, architrave dell’accordo). Il Veneto, per esempio, potrà riorganizzare «il sistema educativo regionale» anche in relazione al «contesto sociale ed economico». Potrà intervenire, quindi, sulla valutazione scolastica «introducendo ulteriori indicatori legati al territorio». Potrà nascere una “pagella regionale” con materie ispirate «dal contesto». Nei professionali del Bellunese ci potranno essere, per esempio, discipline legate all’industria dell’occhiale.
Nel nuovo assetto sarà l’ente locale a decidere della formazione dei docenti e delle spese relative. Nelle due Regioni, un naturale rapporto istruzione-lavoro, sarà “il territorio” a definire i percorsi di apprendistato, la qualità dei Centri per l’istruzione degli adulti e il destino degli Istituti tecnici superiori (Its), una realtà che già oggi garantisce piena occupazione. Resta nei poteri dello Stato l’Alternanza scuola lavoro.
Ci sono ancora zone d’ombra sul capitolo più importante: il trasferimento dei dipendenti della scuola.
Tutti i lavoratori dell’Ufficio scolastico regionale e degli Uffici d’ambito passano dal ministero alla Regione (se sono d’accordo), così i presidi, «che potranno optare per lo stipendio favorevole». Dovranno restare nel nuovo assetto amministrativo – “dipendenti regionali” – almeno tre anni. Nelle bozze di maggio c’è, invece, una retromarcia su docenti, personale amministrativo ed educatori: «Restano nei ruoli statali, salva diversa volontà espressa». La formula ambigua serve per calmare il sindacato ed è al centro di riunioni accese (l’ultima al Miur, ieri sera).
Per i precari nascono le graduatorie locali. Si applicherà il ruolo regionale anche agli insegnanti non abilitati di Terza fascia (toccati da un recente accordo-sanatoria tra sindacati e ministro). Il trasferimento dei docenti veneti verso altre Regioni «sarà consentito». Sul fronte stipendi lo strumento che garantirà gli aumenti ( 150-200 euro ai docenti che entreranno nel libro paga della Regione) saranno i “contratti integrativi regionali”. Varranno anche per presidi, dirigenti amministrativi e bidelli. E sarà il Veneto – che da sempre lamenta i troppi precari nelle sue scuole e i troppi trasferimenti di insegnanti dal Sud – a definire il «fabbisogno regionale di personale» e a distribuirlo. Sotto l’egida regionale passerebbero anche le scuole paritarie.
Con gli ultimi 5 mesi di lavoro da parte della ministra degli Affari regionali, Erika Stefani, le due Regioni del Nord hanno chiesto potere completo sulle borse di studio universitarie e le residenze per studenti: già in mano alle Regioni, potranno integrarle con incentivi e servizi. Passa all’amministrazione locale la ricerca scientifica e tecnologica «a sostegno dell’innovazione per i settori produttivi». Veneto e Lombardia faranno propria l’edilizia scolastica.
Non ci sono novità, per ora, sui concorsi (già su base regionale). Il segretario della Cgil scuola (Flc), Giuseppe Sinopoli: «Il 24 aprile, con il premier, abbiamo firmato altro. Alziamo le barricate».

Bussetti: la scuola regionale si farà

Articolo di Martina Zambon pubblicato domenica 7 luglio 2019 dal Corriere del Veneto ed. Venezia e Mestre.

Bussetti: la scuola regionale si farà

L’istruzione nodo su cui si è diviso il governo legastellato. «Io cassato su tutta la linea? Tutte falsità». Autonomia, il ministro alla vigilia del nuovo vertice a Palazzo Chigi: «Il modello è il Trentino»

Autonomia, c’è chi giura che domani sarà la volta buona. Alle 14 è convocato un nuovo vertice di governo che potrebbe essere risolutivo. Il nodo gordiano resta l’istruzione. Abbiamo chiesto a Marco Bussetti (Lega), titolare del Miur, ministero per l’Istruzione, l’Università e la Ricerca, a che punto sono le frenetiche trattative in corso.

Ministro, più esponenti del M5s dicono che la parte di autonomia legata all’istruzione è stata «azzerata » nel corso del vertice di mercoledì scorso, è andata così?

«Tutto ciò è lontano dalla realtà. Chi lo afferma o non ha partecipato all’ultima riunione presieduta dal presidente Conte a Palazzo Chigi o intende dire una bugia».

Per fare chiarezza, le indiscrezioni che circolano dicono che sono state cassate le richieste in merito al personale, docente e non, gestito e pagato direttamente dalle Regioni, ce lo può confermare?

«Non è così. Questa parte della bozza di intesa rappresenta una richiesta espressa delle Regioni Veneto e Lombardia su cui il ministro Stefani e gli uffici del Miur hanno lavorato per settimane. Il modello a cui ci si ispira è quello da anni vigente in Regioni come il Trentino e la Valle d’Aosta. Modello che funziona perfettamente e che, eventualmente, con qualche correttivo, può essere esportato, in base a quanto previsto dall’articolo 116 della Costituzione, anche in Regioni a statuto ordinario».

Allo stesso modo pare siano stati cassati i concorsi regionali per le assunzioni, la versione propugnata dal M5s consisterebbe in due paletti: limitazioni alla mobilità per far restare i docenti sul territorio e introduzione di un incentivo regionale. Andrà a finire così?

«Ho già detto poco fa quale è il modello a cui la bozza di intesa si ispira. I concorsi regionali sono la norma nelle Regioni sopra citate, ma i bandi regionali sono spesso mera riproduzione letterale dei bandi nazionali. Mi spiega quale sarebbe il problema?».

E l’eventuale incentivo regionale sarebbe a carico delle Regioni a fronte di un diverso trasferimento dei fondi ministeriali?

«L’incentivo regionale non è attualmente nella bozza di intesa all’esame del tavolo presieduto dal Presidente Conte. Prevedere un incentivo economico presuppone l’obbligo di indicare le risorse per coprirlo. Chi lo propone dovrebbe indicare con quali risorse lo copre. Altrimenti sono soltanto parole in libertà».

L’istruzione è uno dei temi più spinosi proprio in relazione alle risorse. Esiste già una base concreta di cifre da cui si sta partendo nelle trattative in corso?

«Certamente. Le intese per avere l’assenso della Ragioneria Generale dello Stato devono garantire la neutralità finanziaria. Ciò avviene trasferendo alle Regioni interessate gli stanziamenti statali relativi al finanziamento delle funzioni e competenze trasferite ai sensi dell’articolo 116, comma tre, della Costituzione. Anche in termini di compartecipazione a tributi erariali. Ecco perché un euro in più necessita di adeguata copertura finanziaria».

Domani si arriverà al vertice di governo già con una quadra sull’istruzione?

«Si parlerà anche di istruzione. E posso dirle che anche in queste ore gli uffici tecnici della Presidenza del Consiglio e del Miur stanno lavorando per limare le bozze di intese. Lunedì, in sede di riunione politica, si scioglieranno gli ultimi nodi».

Al netto delle contrattazioni e delle mediazioni evidentemente necessarie per arrivare ad un accordo, qual è la sua opinione rispetto a una scuola «più regionale», «più autonoma»?

«Io penso che la scuola debba garantire standard sempre più elevati ai nostri studenti. Soltanto cosi il Paese può crescere. L’autonomia scolastica non è una invenzione del ministro Bussetti, ma un principio ormai radicato nell’ordinamento italiano. Una regionalizzazione, nella cornice tracciata dalla Carta costituzionale, è una opportunità in più, non un problema».

Crede che il passaggio dei Lep (Livelli essenziali di prestazione ndr) per arrivare ai costi standard potrebbe servire anche alle regioni del Sud come sostiene il governatore Luca Zaia?

«Sono pienamente d’accordo con Zaia. E la conferma della bontà della tesi la si ritrova nel fatto che anche Regioni del Sud si dichiarano interessate al processo di regionalizzazione».

I sindacati accusano: con una scuola regionale si «disfa» l’Italia, come intende convincerli del contrario?

«Quando leggeranno le bozze di intesa si convinceranno del contrario. Sono convinto che molte critiche hanno esclusivamente una base ideologica ma non siano state precedute da un esame attento dei testi. E poi mi verrebbe da chiedere: il modello trentino o valdostano cosa ha di rivoluzionario? E soprattutto, è un modello virtuoso? Se sì, perché dovremmo privare i cittadini di altre Regioni di un processo di elevazione degli standard qualitativi del servizio scolastico?»

C’è chi dice che l’accordo sulle risorse farà dell’autonomia un guscio vuoto…

«Il ministro Tria sta lavorando alacremente per far sì che le intese siano neutrali sul piano finanziario e che le Regioni abbiano risorse pienamente sufficienti ad esercitare le competenze statali trasferite. Sono sicuro che l’obiettivo verrà colto. E che l’autonomia sarà tutt’altro che un guscio vuoto».

Scuola, università, sanità, lavoro, beni culturali, ambiente contro l’autonomia differenziata

Comunicato stampa pubblicato venerdì 5 luglio 2019 dal sito di OrizzonteScuola.

Scuola, università, sanità, lavoro, beni culturali, ambiente contro l’autonomia differenziata

Comunicato stampa – Assemblea nazionale, domenica 7 luglio, Aula Magna Liceo “Torquato Tasso”, via Sicilia 168, Roma (ore 10.00 – 16.00)

Non importa che sia arrivata un’estate torrida, che molti insegnanti siano ancora impegnati nello svolgimento degli esami di Stato o negli adempimenti di fine anno scolastico, o che siano stanchi e stremati da un ininterrotto periodo di riforme politiche ostinatamente sorde e cieche, che continuano a devastare la scuola e la sua funzione, destrutturandola e svuotandola di significato.

E’ dal mondo della scuola che è partita infatti la mobilitazione contro l’autonomia differenziata, non solo nell’ambito dell’istruzione ma in ogni settore. Una mobilitazione fatta di vigilanza, studio, impegno, diffusione dell’informazione e lotta contro un progetto di regionalizzazione su base fiscale che configura in realtà una vera e propria secessione del ricco e opulento Nord ai danni del Meridione. Domenica prossima i rappresentanti di 106 associazioni, e il numero aumenta di giorno in giorno, si ritroveranno nell’aula magna del liceo Tasso a Roma in un’assemblea nazionale – promossa e organizzata da ‘Appello per la scuola pubblica’, Assur, Autoconvocati della scuola, Comitato 22 marzo per la difesa della scuola pubblica, LipScuola, Manifesto dei 500 e gruppo No Invalsi – per riflettere sui drammatici scenari che la regionalizzazione aprirebbe e sulle possibili iniziative di contrasto.

Il senso ultimo di questo progetto legislativo lo ha spiegato bene fin dall’inizio Gianfranco Viesti, docente di economia applicata all’Università di Bari, esperto di economia internazionale, industriale, regionale e di politica economica. Nel suo pamphlet intitolato “Verso la secessione dei ricchi? Autonomie regionali e unità nazionale”, pubblicato con Laterza e messo gratuitamente a disposizione dei lettori in ebook, ci descrive con chiarezza la genesi di questo processo e le sue possibili implicazioni, amministrative, economiche ma soprattutto politiche.

Il mondo della scuola ha colto subito i pericoli insiti in questo “patto scellerato” stipulato a fine mandato dal governo Gentiloni con il Veneto, la Lombardia e l’Emilia Romagna e poi rinsaldato dall’Intesa firmata lo scorso 15 febbraio tra i governatori delle tre regioni del Nord e il Presidente del consiglio Giuseppe Conte. Le cui rassicurazioni sulla salvaguardia della solidarietà e della coesione nazionale, in piena conformità con l’architettura costituzionale del nostro Paese, e sul coinvolgimento delle camere nell’iter parlamentare, non sono sembrate sufficienti ad arginare i rischi insiti nel rafforzamento delle autonomie regionali, reso possibile dall’assunzione in proprio di potestà legislative fino ad oggi in capo allo Stato.

Se è vero che il processo di attuazione dell’autonomia differenziata è previsto dal novellato articolo 116, terzo comma della Costituzione (riformata dal centrosinistra nel 2001), che consente di attribuire particolari condizioni di autonomia alle Regioni a statuto ordinario che ne fanno richiesta – e se è vero che questa riforma è prevista nel contratto di Governo stipulato tra la Lega e il M5S – è altrettanto vero che l’unità giuridica, economica e politica di un’Italia “una e indivisibile” non può essere calpestata, pena la disintegrazione del nostro Paese. Il mondo della scuola, protagonista del processo di unificazione fin dal Risorgimento, è assolutamente consapevole del rischio che si sta correndo, tanto più grave in un momento come questo, in cui sarebbe opportuno convogliare ogni energia in un processo, diametralmente opposto, di integrazione politica e di democratizzazione delle istituzioni europee, in difesa dell’ambiente, del welfare, del lavoro e dei diritti civili in un orizzonte di solidarietà, rispetto, accoglienza e condivisione.

Per questo, dallo scorso novembre, con l’apertura di un Tavolo unitario contro ogni forma di regionalizzazione, associazioni e movimenti che lo rappresentano hanno cercato un’interlocuzione con le organizzazioni sindacali nell’intento di attivare una capillare campagna di sensibilizzazione e reazione, e non solo tra i docenti. Appelli, scioperi indetti dai sindacati di base, convegni, assemblee, manifestazioni e sit-in promossi da comitati di cittadini, dalle associazioni e dai movimenti hanno scandito gli ultimi mesi, mentre proseguono gli accordi tra Regioni e Governo, se pure tra contrasti e rinvii.

Non possiamo fermarci: la ministra degli Affari regionali Erika Stefani, esponente della Lega, e il vicepresidente del Consiglio e ministro dell’interno Matteo Salvini premono l’acceleratore, tanto più dopo i trionfanti esiti elettorali delle ultime elezioni europee. Non dimentichiamo che la Lega nord ha come primo punto del suo Statuto “l’indipendenza della Padania attraverso metodi democratici e il suo riconoscimento internazionale quale Repubblica Federale indipendente e sovrana”. E’ dunque necessario intensificare la nostra opposizione e allargarne il fronte a tutti i settori, a tutte le 23 materie interessate da una riforma che cambierebbe radicalmente il nostro assetto istituzionale e ci precipiterebbe in una condizione sociale, economica e politica davvero insostenibile. L’incontro di domenica, che sta implicando un enorme sforzo organizzativo e al quale sono tutti invitati a partecipare, mira all’elaborazione di una prospettiva condivisa, nella convinzione che solo una forte e costante mobilitazione dal basso possa costituire il presidio necessario contro ogni iniqua secessione dei ricchi.