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Cosa propongono di fare i partiti per la scuola e l’università?

Articoli di Ilaria Venturi e Corrado Zunino pubblicati lunedì 26 febbraio 2018 da la Repubblica.

Cosa propongono di fare i partiti per la scuola e l’università?

Sul grande “no” al referendum del 2016 la scuola ha lasciato le sue tracce. Molti docenti si sono vendicati lì della Legge 107, la Buona scuola appunto, subita a colpi di fiducia. E hanno innescato un corto circuito nel governo Renzi che si è ripercosso sull’attuale esecutivo nonostante gli aggiustamenti della ministra Fedeli: abbiamo investito 4 miliardi nell’istruzione, è stato il ragionamento della maggioranza, assunto come non si faceva da anni, fatto ripartire i concorsi, svuotato le graduatorie eppure molti professori ci contestano. Forse perché, come racconta Gaetano da Bologna, in aula restano i problemi di sempre. Nella primavera 2015 si è registrato il più grande sciopero del mondo della scuola e anche il recente rinnovo del contratto è stato motivo di polemiche. Sull’università nelle ultime due stagioni sono tornati i finanziamenti. Ma l’impoverimento degli atenei post-Gelmini (i docenti sono calati del 20% tra il 2008 e il 2013) e la precarizzazione dei ricercatori, vedi Alessandra da Bari, sono diventati ragione per un inedito sciopero dei prof d’università. In questo quadro, ecco le proposte dei partiti per il 4 marzo.

“Stipendi bassi e classi affollate nessuno ci ascolta”

Delusi nonostante il nuovo contratto. Quanti nodi irrisolti per chi sta in aula

Gaetano Passarelli, 49 anni, originario di Potenza, due figli, insegna a Bologna in un istituto tecnico. Il suo percorso è emblematico: supplenze subito dopo il diploma, la laurea e il dottorato di ricerca in Ingegneria elettrotecnica, la doppia abilitazione (docente di laboratorio e insegnante di fisica), dieci anni di precariato prima di ottenere la cattedra di ruolo. Ha quasi trent’anni di anzianità e uno stipendio di 1.580 euro, «più alto della media perché insegno da tanto». «Premetto: stare a scuola è un’avventura meravigliosa. Ma rimaniamo pagati poco rispetto ai colleghi europei, nonostante il recente aumento. E il nostro riconoscimento sociale è sceso a picco, con classi sempre più difficili da gestire. E poi ogni governo cambia le regole, dalla Maturità al reclutamento, senza ascoltare chi vive nella scuola. Pesantissima è la situazione dei precari. La collega dell’aula accanto, supplente, è considerata dagli alunni uguale a me: ma ha meno diritti. Mi aspetto stabilità per lei, stipendi adeguati per tutti. Vorrei insegnare in classi meno numerose, con più strumenti a disposizione: formazione, supporto di pedagogisti e psicologi, aiuti per far crescere professionalmente tutti gli insegnanti».

Partito Democratico

Assunzioni e nuovo contratto, ora più maestri e tempo pieno

Quattro miliardi investiti sulla scuola, 10 nell’edilizia. L’assunzione in tre anni di 132mila docenti, 80 mila con la Buona scuola. Ogni istituto ne ha avuti in media sette in più per potenziare la didattica. E in busta paga? Il contratto bloccato da 10 anni è stato firmato in extremis (con scadenza a fine anno) dalla ministra Fedeli: 96 euro lordi mensili in media di aumento da marzo. Confermati il bonus per i prof migliori (che passa da 200 a 130 milioni nel 2018, il resto torna nello stipendio di tutti) e la card di 500 euro. Infine concorsi nel 2018 per stabilizzare i precari. Non è una lista di impegni elettorali: il Pd punta sulle cose fatte con la Legge 107 per dare risposta agli insegnanti. Sulla mobilità Renzi fa autocritica: «L’algoritmo per i docenti del Sud non ha funzionato come avremmo voluto». Obiettivi? La crescita professionale degli insegnanti, più maestri nelle scuole per combattere la povertà educativa, meno burocrazia e più tempo pieno.

Liberi e Uguali

Stabilizzare tutti i precari, bonus merito da abolire

Gli insegnanti? «Eroi del nostro tempo», premette Leu. L’obiettivo principale è smantellare la riforma della Buona scuola targata Pd. Da qui parte il programma. Grasso ricorda che ci sono ancora 83mila precari. Che fare? «Stabilizzare tutti attraverso un piano pluriennale». E ancora: adeguare gli stipendi che, nonostante il rinnovo del contratto, «rimangono tra i più bassi in Europa»; cancellare il bonus- merito; offrire formazione «continua e di qualità». Nel programma non vengono indicate le risorse per attuare le proposte rivolte ai docenti. Mano tesa ai trasferiti con le immissioni in ruolo attuate nel 2016: «Occorre dare risposta alle vittime di un algoritmo impazzito». La proposta è di un percorso partecipato per “un’altra scuola” che contempli la gratuità degli studi, l’aumento del tempo pieno e l’estensione dell’obbligo scolastico dall’ultimo anno della materna (che si vuole per il 100% dei bimbi in età) all’ultimo delle superiori.

Movimento 5 Stelle

Basta chiamate dirette e stipendi a livello europeo

Per la scuola (e università) il M5S promette nel programma uno stanziamento aggiuntivo di 15 miliardi (senza dire dove prenderli). Di Maio lo ha spiegato a parte: «Eliminando gli sprechi, rilanciando il piano Cottarelli e incentivando il gettito fiscale». L’attacco è alla Legge 107: da abrogare. Il capitolo dedicato al personale accontenta tutti: insegnanti già in cattedra, supplenti, laureati e con il diploma magistrale. «Censire i precari», l’indicazione. Tra le promesse, un piano di assunzioni in base al fabbisogno delle scuole; stipendi adeguati alla media europea con abolizione della card e del bonus premiale (da restituire a tutti in busta paga); l’eliminazione della chiamata diretta dei docenti da parte dei presidi; il monitoraggio del percorso introdotto dal governo (e votato dal M5S) per l’accesso al ruolo: concorso, tre anni di formazione, tirocinio e supplenze prima dell’assunzione. Sulle scuole private: via i fondi, non alle materne.

Coalizione di Centro-Destra

Neoassunti su base regionale, più poteri ai presidi

Nel triennio 2009-2011 la Tremonti-Gelmini ha tagliato 8 miliardi di euro alla scuola: 87.400 cattedre e 44.500 posti per il personale Ata (amministrativi e bidelli) perduti con il centrodestra al governo. Ora il programma sulla scuola sta in una pagina e pochi punti che partono dalla «libertà di scelta delle famiglie nell’offerta educativa». Dunque fondi alle private. E poi abolizione delle “storture” della Buona scuola (non si precisa quali). Salvini invece twitta: «Sarà una delle prime leggi che cambieremo». E così Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia: «Legge da asfaltare». Rispetto agli insegnanti la Lega propone una vecchia idea dei tempi di Bossi: il federalismo scolastico, con stipendi dei docenti legati a quelli dei funzionari regionali. I neoassunti saranno assegnati a una Regione, spiega Elena Centemero (Fi) che aggiunge: più poteri ai presidi nella chiamata dei docenti.

“Precaria in facoltà da dodici anni datemi un futuro”

La trafila infinita di chi aspira a entrare. L’incubo di tornare a casa a fine contratto

Alessandra Operamolla ha 40 anni ed è una chimica con un buon curriculum (un brevetto depositato) e dodici anni di precariato. Si è laureata all’Università di Bari, ha preso il dottorato di ricerca e per otto stagioni ha infilato una litania di collaborazioni, assegni di ricerca e contratti al Dipartimento di chimica e poi a Farmacia. «Per un periodo sono rimasta disoccupata, otto mesi senza reddito. Non esisteva ancora la Dis.coll., l’indennità mensile, e per rifinanziarmi sono andata a cercare una borsa di studio in Austria». La continua ricerca di denaro toglie tempo alla ricerca scientifica. «Adesso lavoro da sola a un progetto sulla cellulosa. Credo che tutti, a partire dai partiti, dovrebbero considerare i ricercatori come normali lavoratori, non sognatori che devono fare la fame per inseguire la loro passione. Abbiamo bisogno di tranquillità, e di poter progettare. Tra dieci mesi finisce il mio contratto di Tipo A, 1.800 euro netti al mese: li paga la Regione Puglia e per ora non ci sono fondi per un rinnovo di altri due anni. In Puglia siamo in 170 in questa situazione. Al prossimo ministro? Chiedo solo di aumentare i finanziamenti per la ricerca».

Partito Democratico

Altri diecimila ricercatori nei prossimi cinque anni

Gli ultimi due governi di centrosinistra nelle Leggi di bilancio ‘16 e ‘17 hanno iniziato a reinvestire sull’università. Con la Finanziaria 2017 sono stati reclutati 1.300 nuovi ricercatori (altri 300 negli enti di ricerca). Il Pd ha sostenuto il premio per i dipartimenti di eccellenza e le chiamate dall’estero per i docenti, ma sono state fermate le Cattedre Natta (500 assunzioni dirette degli atenei). Il Fondo Ffo nel 2017 è passato da 6,957 miliardi a 7,011. Niente tasse per gli studenti con redditi familiari fino a 13.000 euro. Rivalutate le borse di dottorato e cresciute le borse di studio: molti studenti idonei, però, ancora non la ricevono. Sono stati sbloccati gli scatti dei docenti. Il programma Pd prevede: 10mila ricercatori di Tipo B in più nei prossimi 5 anni, soppressione dei punti organico e un’Agenzia nazionale della ricerca. Replica a Napoli dello Human Technopole di Milano e piano per l’edilizia.

Liberi e Uguali

Via le tasse per gli studenti e aumentare le borse di studio

Per le università italiane Liberi e uguali chiede “l’obiettivo della gratuità”: abolizione delle tasse per gli studenti e potenziamento del diritto allo studio (in Italia solo il 10 per cento degli universitari hanno borse di studio). Leu chiede di far crescere il finanziamento ordinario del sistema negoziando con l’Unione europea un aumento di Pil “fuori dal patto di stabilità”: in cinque anni 20.000 nuovi ricercatori negli atenei e 10.000 negli Enti di ricerca. Ridefinire dalle fondamenta l’Agenzia di valutazione Anvur: “Autonomo dalla politica e con personalità inattaccabili”. Sulla valutazione si chiede una Conferenza nazionale: “Basta con la logica di competizione tra gli atenei”. Superare il numero chiuso nei corsi di laurea e “no” alla scadenza dell’Abilitazione scientifica. “Il 3+2 si può rivedere”. Bisogna tornare al ministero dell’Università e della ricerca (Murst) e nuovi fondi per la ricerca di base, anche umanistica.

Movimento 5 Stelle

Risorse maggiori per gli atenei con criteri diversi da oggi

Il programma per università e ricerca del M5S è il più esteso e articolato. Il Movimento intende aumentare la quota del Fondo ordinario, ma non indica di quanto. La “quota premiale” deve diventare aggiuntiva e non “a sottrazione”. Nel riparto delle risorse per ogni ateneo si dovrà tener conto del successo dei laureati nel mondo, del reclutamento di giovani ricercatori, della diminuzione dei docenti di ruolo improduttivi. Si prevedono “specifici finanziamenti” per gli atenei in zone depresse. Il programma M5S vuole reintrodurre il ricercatore a tempo indeterminato, obbligarlo ad attività didattiche e sopprimere i ricercatori di Tipo A e Tipo B e gli assegnisti di ricerca. Viene ipotizzata un’unica figura di docente (oggi sono due: associati e ordinari) e si indica la necessità di limitare i ruoli extra-accademici dei professori verificando lo svolgimento dei compiti didattici.

Coalizione di Centro-Destra

Ministero solo per l’università e azzeramento del precariato

Il Decreto Brunetta, ministro della Pubblica amministrazione dell’ultimo governo di centrodestra del Paese, ha tagliato un miliardo e 441 milioni di euro al Fondo di finanziamento ordinario (Ffo) delle università, tra il 2009 e il 2013. La Legge Gelmini, approvata nel dicembre 2010, ha limitato gli incarichi di rettore (sei anni non rinnovabili), soppresso diversi corsi di laurea (alcuni pleonastici), avviato il taglio del 20 per cento delle cattedre universitarie e reso strutturale il ricercatore precario (assegnista rinnovato ogni anno e ricercatore di “Tipo B”, tre anni non rinnovabile). Oggi nei dieci punti del programma del centrodestra al punto 7 si legge: “Azzeramento progressivo del precariato”, quindi: “Rilancio dell’università per farla tornare piattaforma primaria della formazione”. Renato Brunetta ha dichiarato che università e ricerca devono avere un ministero separato dalla scuola.

Antonio Felice Uricchio (Rettore dell’Università di Bari): “Dobbiamo abolire i test per fermare la fuga degli studenti al Nord”

Articolo di Corrado Zunino pubblicato lunedì 4 settembre 2017 da la Repubblica.

Dobbiamo abolire i test per fermare la fuga degli studenti al Nord
Antonio Felice Uricchio, rettore dell’Università degli studi di Bari (45.000 iscritti, 7.200 matricole), nel luglio 2016 lanciò all’interno del suo ateneo la campagna “Stop al numero chiuso”. Disse, spiegandola: «Dobbiamo intervenire per fermare l’emorragia d’iscritti che negli ultimi dieci anni ha colpito la nostra università. Vogliamo allargare la platea di ammessi ed eliminare completamente lo sbarramento all’accesso».
Rettore, un anno dopo? Ha eliminato gli sbarramenti? Ha riaperto i corsi a numero chiuso?
«Poco, sinceramente poco».
Quanti?
«Quattro. E per il prossimo anno accademico altri quattro».
Perché fatica a riallargare i corsi di laurea?
«Perché i conti non tornano mai. Il parametro della numerosità degli studenti si scontra sempre con il numero dei docenti. È difficile trovare la quadra con questi bilanci».
Quanti docenti ci sono all’Università di Bari? 
«Millecinquecento».
E quanti dovrebbero essere per garantire lezioni libere a tutti in condizioni accettabili?
«Almeno 150 in più».
Un ateneo, a livello locale, riesce a incidere sul destino dei suoi corsi a numero programmato? 
«Se non si cambiano le regole e i finanziamenti nazionali, limitatamente. Noi ci stiamo muovendo: abbiamo chiesto un aiuto alla Regione Puglia per allargare Professioni sanitarie».
L’Università di Bari accusa difficoltà nelle immatricolazioni.
«Di fronte ai test da superare in Italia molti nostri studenti fuggono in Europa e segnatamente nell’Est Europa. In tutti gli atenei della Puglia, negli ultimi dieci anni, il numero degli immatricolati è sceso del 27 per cento. A Bari i neoiscritti si sono ridotti del 21 per cento. Questa regione detiene il record di migrazione universitaria: seimila ragazzi ogni anno scelgono di studiare nel Nord Italia, il tasso di uscita dalla regione è pari al 35 per cento. Al contrario, il nostro tasso di attrattività è del 5 per cento».
Che fare?
«Serve una forte riflessione a livello nazionale, la politica fin qui è stata timida. Devo dire che ho ascoltato l’intervento a Cernobbio della ministra Fedeli e ho trovato un’ottima notizia l’annuncio dei 400 milioni di euro da investire sulla ricerca di base delle università. Servono nuovi ricercatori, nuovi e giovani, oltre ai docenti».
Qual è il vostro rapporto tra richiedenti corso e studenti ammessi in aula?
«A Medicina uno a dieci: trecento posti disponibili, tremila candidati. Nelle lauree scientifiche, uno a quattro: tremila posti, dodicimila candidati. Con il numero chiuso troppi studenti non riescono a coltivare i propri interessi».