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Università, l’esodo dal Sud. “Ogni anno 25mila si immatricolano al Nord”

Articolo di Corrado Zunino pubblicato mercoledì 24 gennaio 2018 sul sito di la Repubblica.

Università, l’esodo dal Sud. “Ogni anno 25mila si immatricolano al Nord”

La denuncia della Cgil: “Come negli Anni ’60 e ’70”. Il 30 per cento dei diplomati lascia Puglia e Sicilia. Tutto il Meridione resta l’area d’Europa con meno laureati. I dipartimenti d’eccellenza sono solo 25 (su 180)

Dall’assemblea nazionale della Cgil conoscenza (Flc) sulle colline di Arcavata, Università della Calabria fondata nel 1972, il segretario Francesco Sinopoli rilancia la questione “migrazione universitaria”. Dice: “La frattura tra atenei del Nord e atenei del Sud si è approfondita con l’effetto di una migrazione intellettuale di massa che ricorda gli Anni Sessanta e Settanta. Sono ormai più di 25 mila gli studenti meridionali che ogni anno vanno a immatricolarsi in atenei del Nord. E’ un evidente freno per lo sviluppo dell’intero Mezzogiorno poiché gran parte di questi giovani difficilmente vi farà ritorno. La colpa va ricercata nello sciagurato sistema di valutazione messo in atto dall’Agenzia di valutazione Anvur che ha premiato università già ricche e potenti devastando quelle meridionali”.

TRENTA MILIARDI PERSI IN QUINDICI ANNI

L’ultimo rapporto Svimez, associazione per lo sviluppo industriale del Mezzogiorno, lo scorso novembre ha certificato questo saldo migratorio (e qui parliamo di laureati): in quindici anni il Meridione d’Italia ha visto salire duecentomila laureati (nel Nord Italia, appunto, e in piccola parte all’estero) e trasferire risorse per trenta miliardi di euro. Il calcolo si basa sul costo medio necessario per sostenere un percorso di istruzione elevata: ragazzi formati al Sud, poi lavoratori e consumatori al Nord.

Secondo il rapporto Bankitalia di fine 2016 sulle “Economie regionali”, nell’anno accademico 2015-‘16 un quarto degli immatricolati residente nel Mezzogiorno si è iscritto in un ateneo del Centro Nord. In otto stagioni il dato è cresciuto del 7 per cento. L’aliquota sale al 38 per cento se si considerano le iscrizioni al primo anno della laurea specialistica: ecco, una massa ulteriore di universitari si sposta nei solidi atenei del Settentrione dopo aver conseguito una laurea triennale al Sud.

La mobilità verso il Centro-Nord è più frequente nei corsi di Ingegneria industriale e civile, in Architettura, nelle discipline sanitarie e nelle Scienze sociali. Nel confronto con gli altri studenti, gli universitari migranti hanno crediti inferiori, voti di laurea più bassi, ma anche un tasso di abbandono inferiore. Sono descritti come motivati e tenaci, e spesso sono i figli delle famiglie meridionali più benestanti.

IL PARCHEGGIO DEI DIPLOMATI

Secondo altri studi, nel 2016 sono stati i pugliesi gli universitari più mobili: oltre il 30 per cento ha raggiunto il Centro Nord, un altro 8 per cento si è spostato in altre aree del Mezzogiorno. Gli studenti siciliani sono emigrati nel 29,4 per cento dei casi, i campani nel 17,7 per cento. Il Sud resta, comunque, l’area d’Europa con il più basso tasso di laureati tra i 30 e i 34 anni.

Va considerato che nel Meridione d’Italia l’iscrizione universitaria resta un valore forte e, senza lavoro, un obbligo. Se l’immigrazione intellettuale è presente, resta alta anche l’immatricolazione locale. Con 205 mila iscritti, nel 2016 la Campania era la seconda regione d’Italia, a meno di cinquemila immatricolati dalla Lombardia. Ed esprimeva il 9,5 per cento della popolazione italiana contro il 16,5 della Lombardia, quindi il tasso di iscrizione era (ed è) il più alto d’Italia. In quanto a immatricolazioni universitarie, Sicilia e Puglia sono rispettivamente quarta e quinta. Al Sud, però, l’università per molti è un parcheggio. I dati dicono che qui, negli atenei meridionali, ci sono più fuoricorso (al contrario degli studenti migranti) e ci si laurei meno. Coloro che, nati tra il 1982 e il 1990, nel 2016 erano iscritti a una facoltà – e quindi fuori corso – erano decisamente superiori in Campania e in Sicilia rispetto al Veneto e alla Lombardia. Ancora, se i lombardi nel 2016 erano il 14,5 per cento dei laureati (a fronte del 12,8 degli studenti), in Campania i laureati erano solo il 10,8 (a fronte del 12,5 di chi inizia il percorso di alta formazione).

Oggi ad Arcavata il segretario generale Susanna Camusso chiuderà il convegno Flc Cgil chiedendo una Costituente per definire “la missione dell’università per il XXI secolo e per le generazioni future”.

DIPARTIMENTI D’ECCELLENZA, 1 SU 7 NEL MEZZOGIORNO

Il presidente dell’Anac Raffaele Cantone negli scorsi giorni all’Università di Padova aveva parlato di alcuni atenei del Sud zavorra, “che forse bisognerebbe proprio chiudere”. Il presidente della Conferenza dei rettori, Gaetano Manfredi, alla guida della Federico II di Napoli, sostiene che in verità i numeri stanno migliorando e sottolinea che la seconda Valutazione della qualità della ricerca dell’Anvur ha mostrato diverse università meridionali in recupero, “ma il sistema premiale alla fine dà risorse a chi è già strutturato e forte”. Nel quinquennio 2018-2022 centottanta dipartimenti universitari d’eccellenza riceveranno 1,3 miliardi. Di questi, solo venticinque sono meridionali, uno ogni sette.

Antonio Felice Uricchio (Rettore dell’Università di Bari): “Dobbiamo abolire i test per fermare la fuga degli studenti al Nord”

Articolo di Corrado Zunino pubblicato lunedì 4 settembre 2017 da la Repubblica.

Dobbiamo abolire i test per fermare la fuga degli studenti al Nord
Antonio Felice Uricchio, rettore dell’Università degli studi di Bari (45.000 iscritti, 7.200 matricole), nel luglio 2016 lanciò all’interno del suo ateneo la campagna “Stop al numero chiuso”. Disse, spiegandola: «Dobbiamo intervenire per fermare l’emorragia d’iscritti che negli ultimi dieci anni ha colpito la nostra università. Vogliamo allargare la platea di ammessi ed eliminare completamente lo sbarramento all’accesso».
Rettore, un anno dopo? Ha eliminato gli sbarramenti? Ha riaperto i corsi a numero chiuso?
«Poco, sinceramente poco».
Quanti?
«Quattro. E per il prossimo anno accademico altri quattro».
Perché fatica a riallargare i corsi di laurea?
«Perché i conti non tornano mai. Il parametro della numerosità degli studenti si scontra sempre con il numero dei docenti. È difficile trovare la quadra con questi bilanci».
Quanti docenti ci sono all’Università di Bari? 
«Millecinquecento».
E quanti dovrebbero essere per garantire lezioni libere a tutti in condizioni accettabili?
«Almeno 150 in più».
Un ateneo, a livello locale, riesce a incidere sul destino dei suoi corsi a numero programmato? 
«Se non si cambiano le regole e i finanziamenti nazionali, limitatamente. Noi ci stiamo muovendo: abbiamo chiesto un aiuto alla Regione Puglia per allargare Professioni sanitarie».
L’Università di Bari accusa difficoltà nelle immatricolazioni.
«Di fronte ai test da superare in Italia molti nostri studenti fuggono in Europa e segnatamente nell’Est Europa. In tutti gli atenei della Puglia, negli ultimi dieci anni, il numero degli immatricolati è sceso del 27 per cento. A Bari i neoiscritti si sono ridotti del 21 per cento. Questa regione detiene il record di migrazione universitaria: seimila ragazzi ogni anno scelgono di studiare nel Nord Italia, il tasso di uscita dalla regione è pari al 35 per cento. Al contrario, il nostro tasso di attrattività è del 5 per cento».
Che fare?
«Serve una forte riflessione a livello nazionale, la politica fin qui è stata timida. Devo dire che ho ascoltato l’intervento a Cernobbio della ministra Fedeli e ho trovato un’ottima notizia l’annuncio dei 400 milioni di euro da investire sulla ricerca di base delle università. Servono nuovi ricercatori, nuovi e giovani, oltre ai docenti».
Qual è il vostro rapporto tra richiedenti corso e studenti ammessi in aula?
«A Medicina uno a dieci: trecento posti disponibili, tremila candidati. Nelle lauree scientifiche, uno a quattro: tremila posti, dodicimila candidati. Con il numero chiuso troppi studenti non riescono a coltivare i propri interessi».