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Lorenzo Fioramonti – Università e Ricerca, dopo decenni di tagli abbiamo invertito la tendenza

Articolo pubblicato martedì 30 luglio 2019 dal sito Il Blog delle Stelle.

Università e Ricerca, dopo decenni di tagli abbiamo invertito la tendenza

Oggi sono stati pubblicati due articoli, rispettivamente su Repubblica e su Il Sole 24 Ore, che ci ricordano due fatti importanti:

  1. l’Italia investe troppo poco in alta formazione e ricerca
  2. il nostro mercato del lavoro non premia laureati o dottori di ricerca

Questo rappresenta una perdita netta enorme per il Paese, a vantaggio di quelle nazioni in grado di attirare le migliori competenze. Per ogni laureato o dottore di ricerca che lascia l’Italia, perdiamo in media 250 mila euro di investimenti fatti sulla sua formazione attraverso risorse pubbliche. È questa forma di emigrazione che sta diventando sempre più un vulnus profondo per il futuro dell’Italia.

Dopo decenni di tagli, però, questo Governo ha invertito la tendenza.

Il fondo delle università quest’anno è aumentato di oltre 100 milioni. È poco, ma non accadeva da tanto tempo. In seguito, abbiamo anche emesso un decreto per l’assunzione straordinaria di oltre 1500 ricercatori. Il numero più alto di sempre. Inoltre, abbiamo sostenuto dottorati innovativi ed industriali, per facilitare l’occupabilità dei dottori di ricerca. E come sapete, sono impegnato in prima linea con il nostro gruppo parlamentare per ottenere 1 miliardo in più nella prossima Legge di Bilancio.

Ma le risorse non sono l’unico problema. Per questo abbiamo richiesto all’Agenzia Nazionale per la Valutazione dell’Università e della Ricerca di modificare gli algoritmi con cui si allocano i fondi premiali, tenendo conto di nuovi fattori come le necessità del territorio e la capacità di collaborare con le imprese. In Parlamento, poi, si è incardinata una riforma dei concorsi che permetterà di assumere più ricercatori e con modalità sempre più trasparenti e meritocratiche.

Dal giorno del mio insediamento, circa un anno fa, ho lavorato ad un grande progetto di collaborazione tra mondo delle imprese e mondo della ricerca. Abbiamo avviato i cluster tecnologici su tutto il territorio nazionale e sostenuto collaborazioni sperimentali in varie regioni d’Italia. Stiamo aiutando le università a fare impresa e le imprese, anche quelle medio-piccole, a fare ricerca. Lo scopo è fare squadra per rilanciare la ricerca pubblica e privata, utilizzando anche le risorse ingenti messe a disposizione dal Governo con il fondo per l’innovazione.

In autunno, sigleremo con le imprese italiane un Patto per la Ricerca, con cui impegnarci (come governo e come settore imprenditoriale) a puntare su un’economia intelligente e produttiva, facendo della ricerca e dell’innovazione il vero ‘marchio di fabbrica’ dell’Italia. In questo patto proponiamo incentivi fiscali innovativi per le aziende che fanno ricerca o assumono personale altamente qualificato, e chiediamo alle imprese di aumentare i loro investimenti in innovazione, anche e soprattutto attraverso borse e fondi per le università. Entro la fine di quest’anno avremo più investimenti, più efficienza, più merito e più collaborazione: sono gli ingredienti giusti per fare della ricerca il volano di sviluppo del Paese.

Ffo università, il sì dei rettori

Articolo di Alessandra Ricciardi pubblicato martedì 30 luglio 2019 da ItaliaOggi.

Ffo università, il sì dei rettori

Via libera unanime a priorità e ripartizioni del Miur. Flc-Cgil attacca: manca un miliardo

Le università dicono sì. La conferenza dei rettori italiani ha dato parere favorevole al nuovo Piano triennale di programmazione degli atenei e al relativo decreto sul fondo di finanziamento ordinario. Linee guida e Ffo rispondono a una nuova strategia sul ruolo delle università e sulla premialità dei finanziamenti che ha consentito tra l’altro di tenere assieme le istanze di miglioramento degli atenei del Nord e di quelli del Sud, di quanti possono vantare già ottimi risultati e di quelli che invece stanno mettendo in campo azioni di miglioramento per recuperare terreno. Uno degli elementi, questo, che ha giocato a favore del sì dei rettori, spiega Ferruccio Resta, rettore del Politecnico di Milano e segretario generale della Crui.

Il percorso della nuova programmazione triennale e del Fondo per il 2019, dopo aver incassato il via libera della Crui, dovrà ultimare l’iter consultivo, oggi toccherà tra l’altro al Cun, prima di arrivare alla firma definitiva del ministro dell’istruzione e università, Marco Bussetti. Per il triennio 2019-2021, le linee programmatiche indicano come obiettivo generale la valorizzazione dell’autonomia responsabile degli atenei. Un obiettivo che viene declinato in riferimento a tutti gli specifici campi individuati dalla legge: didattica, ricerca e trasferimento tecnologico, servizi agli studenti, internazionalizzazione, politiche di reclutamento.

Nella proposta predisposta dal dipartimento per l’Università del Miur, guidato da Giuseppe Valditara, ed esaminata dalla Crui viene dato maggior peso anche alle opinioni dei laureandi in merito al corso di studi frequentato, così come ai dottorati che potranno contare su 170 milioni di euro per le borse, 10 milioni in più rispetto al precedente Ffo.

Ciascun ateneo dovrà presentare un unico programma relativo al massimo a due obiettivi, così da evitare di disperdere le risorse tra microprogretti e puntando invece a sostenere programmi effettivamente strategici per la singola realtà.

Il nuovo Ffo, in crescita rispetto allo scorso anno, è passato da 7,34 miliardi di euro a 7,45 miliardi. La clausola di salvaguardia prevista a tutela degli atenei contiene la perdita massima del Fondo rispetto al 2018, tra quota base, quota premiale e perequativa, entro il limite massimo del 2%, il guadagno entro il 3%.

Attacca la Flc-Cgil guidata da Francesco Sinopoli: «Tra inflazione e aumento degli iscritti, per tornare ad un finanziamento confrontabile a quello del 2009, il Fondo avrebbe dovuto esser di almeno 8,4 miliardi (il 13,5% circa in più dello scorso anno). Manca cioè all’appello il famoso miliardo di euro da tempo promesso dal sottosegretario Fioramonti». Che ci sia un sottofinanziamento delle università è argomentazione condivisa dalla stessa Crui. Ma replica Francesco Ubertini, rettore dell’università di Bologna, «si tratta di un effetto di scelte non imputabili a questo decreto sul Ffo. La verità è che esiste un sottofinanziamento strutturale che viene da lontano. Dopo di che c’è il tema della ripartizione a fronte di fondi disponibili e mi pare che la risposta data dal Miur evidenzi elementi che superano molte criticità del passato».

I rettori nel dibattito in seno alla Crui hanno apprezzato l’aumento delle quote premiali rispetto alle quote storiche: «Il ministero si è assunto la responsabilità di fare delle scelte: più risorse alle università che reclutano più ricercatori rispetto a quelle che puntano di più sui docenti ordinari; promuovere la mobilità degli studenti, promuovere i dottorati di ricerca che sono strumento per fare innovazione non solo per le università ma anche per le imprese e la pa», spiega Resta, «promuovere anche la capacità delle università di acquisire fondi sul mercato, dalla Commissione europea ai privati. Premiare chi fa già ottimi risultati e pure chi punta a migliorarsi. È la prima volta che succede e il sistema università ha risposto in modo compatto alla richiesta di essere infrastrutture solida e competitiva del Paese».

Lorenzo Fioramonti: «Tassa sulle bibite. All’università serve un miliardo»

Articolo di Luca Telese pubblicato lunedì 22 luglio 2019 da La Verità.

«Tassa sulle bibite. All’università serve un miliardo»

Il viceministro all’Istruzione: «L’università ha bisogno di un miliardo che possiamo ricavare con imposte su bevande e merendine zuccherate. Meno obesi, più risorse. Se non arrivano i soldi, a dicembre mi dimetto

«Lei sta parlando con un viceministro condizionato…».

In che senso?

«Ho preso questa decisione: resterò al governo solo se nella prossima manovra ci sarà un miliardo in più per l’università e per la ricerca».

È serio?

«Più che serio. Determinato».

Però lei stesso ricorda che questo governo è il primo ad avere aumentato gli stanziamenti per l’università.

«Vero, ma non basta. Negli ultimi vent’anni, chi ci ha preceduto ha tagliato in ogni forma e ogni modo. Solo la Grecia ha fatto peggio».

E voi?

«Abbiamo scelto di investire 110 milioni in più. Poi abbiamo rischiato che questi fondi venissero congelati».

Quando?

«A dicembre, dopo l’accordo con l’Europa, Tria aveva bloccato 100 milioni, fino a luglio, per una sorta di autosalvaguardia. Poi, dopo una trattativa serrata ne abbiamo sbloccati 70».

E da 100 milioni vuole passare a un miliardo?

«Sì. Ma senza toglierlo a nessuno».

Come si fa?

«Ho sviluppato un modello di nuove entrate ottenute con disincentivi economici a cose che fanno male alla salute e all’ambiente».

Nuove tasse?

«Soltanto su alcuni prodotti: bevande, snack e merendine ad alto contenuto zuccherino. E poi voli aerei, industrie fossili, gratta e vinci».

Il prelievo migliora i consumi?

«L’ordine di grandezza lo stiamo valutando. Potrebbe essere 10 centesimi su una bibita da 1 litro o su una merendina da 100 grammi. Meno bambini obesi e più fondi: risultato straordinario».

Vuole punire?

«No. Mandare un messaggio».

Lorenzo Fioramonti: cresciuto in periferia a Roma. Professore universitario, si è formato tra Africa, Sudamerica e Nord Europa. Viceministro dell’Istruzione con delega per l’università. Era il volto più noto del famoso «governo ombra» del M5S. Serio, quadrato, ma anche molto critico: «Dobbiamo finire di fare ridicole guerre tra gialli e verdi: pensare non all’immagine di un partito, o di un governo, ma di tutto il Paese».

Si è laureato in storia economica a Tor Vergata. Poi?

(Allarga le braccia). «Inizio a girare».

Dove?

«In Belgio, a Gand, servizio volontario europeo. Vinsi una borsa di studio per lavorare in un’associazione ambientalista».

Per fare che cosa?

(Risata). «Prima le pulizie. Poi cucinare in un ristorante dell’associazione…».

Grandioso.

«Molto utile per perfezionare francese e inglese. Quindi in Inghilterra, una summer school di macroeconomia e statistica a Essex».

E poi?

«Prendo un dottorato tra Siena e l’istituto europeo di Fiesole. Il terzo anno vado a fare una ricerca sul campo, sul tema che studiavo: come cambiano i Paesi post autoritari quando tornano alla democrazia».

E dove va?

«A Pretoria, in Sudafrica. Dopo un po’ di tempo inizio a lavorare per la cooperazione allo sviluppo».

Mette su famiglia.

«Conosco e mi innamoro di Janine. Che è tedesca, ma nata e cresciuta in Venezuela. Per cinque anni abbiamo vissuto tra il Sudafrica, il Venezuela e l’Europa».

Mi dica una cosa sul Sudafrica.

«È un paradiso ricco di contraddizioni. L’unico posto dove i vantaggi tecnologici del “primo mondo” convivono con quelli ecologici e ambientali del “terzo mondo”».

Esempio?

«In una delle foto a cui siamo più affezionati Janine allatta il nostro secondo figlio in un parco, e al fianco ha una zebra che fa altrettanto con il suo cucciolo».

Fantastico. E com’è stata la vita a Caracas?

«In Venezuela sono stati usati presupposti giusti per fare cose sbagliate».

Lo dice mai ai tifosi chavisti del M5s?

«Sempre, ma non sono sicuro di averli convinti. Anch’io ero appassionato di Chavez all’inizio».

Poi ha cambiato idea.

«Era diventata una dittatura. Sostenuta dal 20% della popolazione. Non producono nulla, importano tutto, dipendono totalmente dal petrolio».

Quindi, fuga.

«Nel 2008 provo a tornare in Italia con un assegno di ricerca all’università di Bologna. Io e mia moglie vogliamo aprire un centro di ricerca, investiamo tutti i nostri risparmi, 120.000 euro in un terreno, dove edificarlo».

E come va a finire?

«Un doppio disastro. All’università quando c’è il concorso mi dicono: “Non ti presentare”».

Perché?

«Mi fanno capire che “non è leale” presentarsi con un curriculum come il mio: “Metti in difficoltà un’altra persona che lavora da tanti anni”».

E come pensano che lei accetti?

«Dicono: “Verrà anche il tuo momento”».

Per il centro avevate comprato il terreno a Ripoli.

«Ma durante gli scavi per il tunnel della variante di valico si produce una frana che colpisce il nostro Comune. Perdiamo tutto. Siamo in causa con Autostrade da 10 anni».

Vuole ritirare le concessioni?

«Mi basterebbe che pagassero i danni che producono».

Dopo le batoste, altra fuga.

«Stava per nascere il mio primo figlio e mi propongono un contratto da junior professor di economia politica a Heidelberg, in Germania. Avevo 32 anni. Passo da 1.200 euro al mese (di cui 800 per l’affitto) a 2.500 netti più casa e asilo pagati e 5.000 euro annui per i viaggi».

Quanto resiste?

«Tre anni. Poi arriva una offerta da Pretoria e torniamo in Sudafrica».

È il 2012, e lei diventa professore associato.

«Ottengo anche un secondo stipendio per restare in ateneo. Apro il mio centro di ricerca con oltre 30 ricercatori ed elaboro il progetto di un campus universitario completamente ecosostenibile».

E lo accettano?

(Sorriso). «Mi affidano 50 milioni di dollari per realizzarlo. Viene costruito in tre anni. A oggi ci lavorano 300 persone».

A questo punto scrive il libro che la porterà in Parlamento: Gross domestic problem, tradotto in italiano con Presi per il Pil.

«Il Pil è un indice molto imperfetto e obsoleto. Misura solo i consumi di mercato».

Indicatore non attendibile?

«Gli Stati Uniti che spendono quasi la metà del Pil in spese militari e mediche appaiono più virtuosi del Costarica, dove l’esercito è abolito per legge, le scuole sono gratis, i tassi di istruzione molto più alti di quelli dello Zio Sam, l’aspettativa di vita è altissima grazie alla sanità pubblica che costa una frazione di quella americana. Ma per il Pil, gli Usa sono sviluppati e il Costarica no».

Come arriva al M5s?

«Un giorno mi chiama Giorgio Sorial, ex parlamentare 5 stelle e oggi nello staff del ministero dello Sviluppo».

Perché?

«Aveva letto il mio libro quando faceva l’ingegnere in Irlanda e mi propone di presentarlo alla Camera nel 2017».

E lì conosce Di Maio.

«A dicembre, mentre ero a Roma per le feste di Natale, Luigi mi invita a pranzo a Milano. Accetto. E lui mi dice: “Vuoi stare nella squadra di governo e aiutarmi a costruirla?”».

Lei arruola Pasquale Tridico, futuro presidente dell’Inps, e Filomena Maggino, che doveva essere ministro della Qualità della vita.

«Ministero purtroppo mai nato. Ora lei lavora con Conte, nella cabina di regia di Benessere Italia».

Quando ha saputo del contratto di governo con la Lega?

«Guardando il telegiornale».

E di essere viceministro?

(Sorride). «Mezz’ora prima del comunicato stampa, la sera prima del giuramento. Via Whatsapp».

II ricercatore cui si diceva di non presentarsi è diventato il responsabile dell’università italiana.

«Mi impegno molto per questo settore, però non ho mai avuto la delega alla ricerca, nonostante fosse nei patti».

Come si trova?

«Un ministro ha decine di uffici e centinaia di collaboratori. Io ho 7 persone. Facciamo i salti mortali».

Il rapporto con Bussetti?

«Cordiale con lui e il suo gabinetto. Tuttavia, molto spesso, lavoro dalla mattina alla sera solo per capire che cosa fanno, e come, sui miei temi».

Sembra folle.

«Talvolta apprendo di decisioni che riguardano le mie deleghe solo dal passaparola».

Che cosa pensa del governo?

«Siamo diversi dalla Lega, per questo bene il contratto. Avrei preferito meno sbaciucchiate all’inizio, in cui si voleva far credere di andare d’amore e d’accordo. E meno litigate nei sei mesi successivi: più compostezza avrebbe giovato al Paese».

Sembra folle.

«Il bisticcio continuo è soffocante. Facciamo cose belle che si perdono nell’infantilismo dei tweet».

Faccia un esempio su che cosa migliorare.

« Ho seguito i dossier europei. Ho la fortuna di parlare inglese, francese e tedesco».

E che cosa ha capito?

«Per anni l’Italia non è stata all’altezza. Abbiamo mandato burocrati a leggere discorsi quando avremmo dovuto avere politici all’altezza».

Perché?

«L’autorevolezza è il frutto di competenze e avremmo dovuto mandare i migliori. Le decisioni vere si chiudono a cena, nei coffee break, parlando le lingue».

E quindi?

«Dobbiamo proiettare autorevolezza, soprattutto in Europa. Ne va del futuro del Paese. Serve progettualità nel lungo periodo».

Davvero senza fondi si dimette?

«Non sono venuto qui per una poltrona, ma per cambiare. Se non ci riesco, a Pretoria sto benissimo».

 

Si vota per il rettore all’università di Catania

Articolo pubblicato martedì 9 luglio 2019 dalla Gazzetta del Sud.

Si vota per il rettore all’università di Catania

L’inchiesta e le dimissioni di Basile

Nuove elezioni per il rettore a Catania dopo le dimissioni di Francesco Basile, indagato e sospeso dall’incarico, assieme ad altri nove docenti dell’ateneo, nell’ambito dell’inchiesta “Università bandita” della Procura su 27 concorsi che, secondo l’accusa, sarebbero stati truccati. Il voto è stato indetto, con un decreto, dal decano dei professori ordinari dell’Università di Catania, prof. Vincenzo Di Cataldo. Il nuovo rettore sarà in carica fino al 2025. Le candidature dovranno pervenire all’Ufficio elettorale d’Ateneo entro le ore 14 del 19 luglio. Dal 22 luglio al 2 agosto il decano organizzerà degli incontri per dar modo ai candidati di presentare i programmi. La prima votazione è fissata il 23 agosto, con seggi aperti dalle 9 alle 19. L’eventuale seconda votazione avrà luogo tre giorni dopo. L’eventuale terza il 29 agosto. In questi tre turni il rettore è eletto a maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto. In caso di mancata elezione si procederà con il sistema del ballottaggio tra i due candidati che nella terza votazione abbiano riportato il maggior numero di voti. In questo caso, si voterà il 2 settembre. Intanto i deputati del M5S Paolo Lattanzio e Marco Bella, capogruppo e membro della commissione Cultura alla Camera, annunciano riforme: «Abbiamo già in cantiere, di concerto con il viceministro Lorenzo Fioramonti, una importante riforma del sistema di reclutamento dei docenti universitari improntata alla trasparenza e alla valorizzazione effettiva del merito». «Il Miur – aggiungono – si costituirà parte civile nel processo che scaturirà dall’inchiesta annullando i concorsi giudicati irregolari. Il ministero ha immediatamente verificato la eventuale presenza dei docenti coinvolti nelle commissioni per concorsi e altre procedure valutative e raccomandato le università, alle quali compete attualmente lo svolgimento dei concorsi, di rivedere i criteri di formazione delle commissioni giudicatrici ricorrendo alla modalità del sorteggio. Inoltre il viceministro Fioramonti – concludono – sta conducendo in porto un’importante convenzione con l’Anac per monitorare i concorsi».

Giambattista Scirè: “Ho vinto, ma il posto non l’ho mai avuto”

Articolo di Dario De Luca pubblicato sabato 29 giugno 2019 da il Fatto Quotidiano.

“Ho vinto, ma il posto non l’ho mai avuto”

Il Parlamento dovrebbe fare una commissione d’inchiesta su queste pratiche e iniziare da qui

Vittima simbolo di un sistema, ma anche esempio di chi decide di non abbassare la testa. Giambattista Scirè poche ore dopo l’inchiesta Università blindata dentro di sé ha un vortice di emozioni. Perché lui con alcuni di quei baroni ai vertici del potere accademico ha combattuto, spesso in silenzio, per tanti anni. Emarginato nel tentativo di mettere sotto i riflettori un concorso ritenuto truccato. I fatti risalgono al 2011, quando Scirè ambiva al ruolo di ricercatore in Storia contemporanea alla sede di Ragusa dell’allora facoltà di Lingue dell’Università di Catania. Otto anni dopo i professori della commissione che lo escluse sono stati condannati in primo grado per abuso d’ufficio con tutti i componenti interdetti dai pubblici uffici. Colpevoli, usando le parole della sentenza, “di avere agito con la consapevolezza di violare la legge”.

“Dopo questa inchiesta mi sento rincuorato perché finalmente ci sono dei responsabili. Ma dall’altro lato c’è un’istituzione a cui viene affiancata una presunta associazione a delinquere”. Scirè in tutto il suo ragionamento ha una certezza granitica: “Non mi sono meravigliato perché da tempo ho denunciato queste nefandezze e conosco bene quei nomi”. Ben otto anni passati tra ricorsi amministrativi e aule del palazzo di giustizia di Catania. Perché nella sua complicata vicenda si sfiora anche il paradosso. I giudici del Tar e del Consiglio di giustizia amministrativa siciliano, nel 2014 e nel 2015, sposano la tesi di Scirè e indicano, nero su bianco, che la vincitrice del concorso, l’architetta Melania Nucifora, non aveva i titoli. Motivo per cui il ricercatore, arrivato secondo in graduatoria, doveva essere chiamato nel posto che gli spettava di diritto. La sentenza però non è stata mai applicata. “Mi sono ritrovato da solo contro tutti – racconta al Fatto Quotidiano –. E ancora oggi non ho ottenuto quello che mi ha certificato la legge”. Da quel 2011 la vita di Scirè ha preso una piega diversa in tutti i sensi. Con il suo caso arrivato anche sul tavolo del ministero dell’Istruzione. “Il viceministro ha scritto all’Università per chiedere lumi sulla mancata applicazione della sentenza e la mancata costituzione in giudizio come parte offesa. Da Catania però non ha mai risposto nessuno”, tanto che il 3 luglio a Roma sarebbe dovuto volare il rettore, indagato e sospeso da ieri, Francesco Basile: “Era stato convocato imponendogli di trovare una soluzione. Anche perché nel dipartimento c’è ancora la persona che ha usufruito del favore. L’incontro però, dopo quanto emerso con l’indagine, non si potrà svolgere”. Oggi Scirè porta avanti i lavori dell’associazione Trasparenza e merito che si occupa proprio dei concorsi universitari: “Dopo il mio caso la rotta è stata invertita. Bisogna denunciare senza avere paura. Riceviamo segnalazioni da tutta Italia in cui ci indicano i concorsi truccati e i vincitori dei bandi. Il nostro compito è affiancare queste persone in tutto il percorso”.

L’associazione del ricercatore ha già annunciato di volersi costituire parte civile nell’eventuale processo ai vertici dell’Università di Catania. “Il mio è un caso simbolo ma adesso c’è molta più consapevolezza e in tanti decidono, come ho fatto io, di non stare in silenzio. Un’idea per il futuro? In Parlamento andrebbe creata una commissione d’inchiesta sui concorsi universitari e, magari, si potrebbe partire proprio da Catania”.

La cricca degli atenei: “Se qualcuno fa ricorso noi lo schiacciamo”

Articolo di Corrado Zunino pubblicato sabato 29 giugno 2019 da la Repubblica.

La cricca degli atenei: “Se qualcuno fa ricorso noi lo schiacciamo”

Concorsi truccati: 3 rettori indagati, in tutto 66 docenti coinvolti in 16 università. Scandalo da Catania a Milano. Erano i candidati a dettare le regole dei bandi

«Hai bonificato l’ufficio?». Il nuovo rettore chiede al predecessore se ha fatto togliere le cimici di polizia dalla stanza in cui si sta insediando, consapevole che c’è un sistema paramafioso da mantenere e che una procura, quella di Catania, l’ha compreso da tempo. È la prima domanda di Francesco Basile, chirurgo, a Giacomo Pignataro, economista. È il 2 febbraio 2016. Tutti e due ora sono indagati per associazione a delinquere con finalità di corruzione, truffa aggravata, falsità ideologica. La procura aveva chiesto gli arresti domiciliari per loro e altri otto vertici di facoltà: negati. Il rettore Basile, da ieri, è però sospeso nelle sue funzioni. L’inchiesta, ad ora, ha indagato 66 docenti universitari: 44 a Catania, 22 in 16 atenei. Insegnano nei più prestigiosi: Statale di Milano, Ca’ Foscari di Venezia, Verona, Padova, Bologna, Napoli e poi alla Sissa di Trieste, a Firenze, alla Cattolica di Roma e a Roma Tre, a Chieti-Pescara, a Catanzaro, a Messina, a Cagliari. Sono indagati anche il rettore della Sapienza di Roma, Eugenio Gaudio, e quello dell’Humanitas di Rozzano, Marco Montorsi. Due medici. Un’inchiesta lunga 21 mesi ha fatto emergere un sistema clientelare (sono coinvolti gli ultimi tre rettori, un pro rettore, sei direttori di dipartimento, il preside di Medicina) che all’Università di Catania taroccava tutto (la Digos ha contato 97 prove profilate) richiamando commissioni a comando. La cupola rettoriale catanese aveva truccato, innanzitutto, l’elezione del Magnifico Basile: pizzini distribuiti a tutti gli elettori, anche agli studenti, e obblighi rispettati. «Anche per il cda abbiamo votato con i pizzini», confesserà l’ex direttore di Scienze politiche Giuseppe Barone, capace di far assegnare al figlio il ruolo ad Economia. Scandagliando i concorsi interni, gli investigatori non ne hanno trovato uno regolare. L’unico che stava andando secondo merito è stato stoppato dal rettore in carica. Bandi per professori, ordinari o associati, chiamate dirette, prove per ricercatori, dottorati, assegni di ricerca. Tutto predestinato. L’indossatore del concorso di sartoria veniva convocato da Basile e gli veniva spiegato quali titoli dovesse presentare, quali sarebbero stati i punteggi attribuiti. In alcuni casi il candidato era così potente che diceva lui al Magnifico come doveva essere realizzato il concorso: «Dobbiamo soggiacere al potere», si giustifica in una telefonata il rettore-chirurgo. Spiegherà agli amici perché non era importante che in facoltà entrassero i migliori: «L’università nasce su una base cittadina abbastanza ristretta, un’élite culturale, finora sono state sempre quelle le famiglie…». Nel gennaio 2018, per dire, è diventata associato a Scienze biologiche Velia Maria Lucia D’Agata, figlia dell’ex procuratore Enzo. Chi osava presentarsi in antitesi al prescelto era pubblicamente umiliato, la candidatura era ritirata. Un ricorso al Tar comportava ritorsioni: «Vediamo chi sono questi stronzi che dobbiamo schiacciare…», dirà il professor Barone. Già, «hanno pestato la merda e ora se la piangono». Per convocare commissari d’esame in linea, l’Università di Catania inventava inesistenti convegni, pagava spese di viaggio e recapitava mazzi di fiori: docenti mantenuti e coccolati per falsificare. Il Miur ora promette che si costituirà parte civile, il sottosegretario Fioramonti si dice colpito, ma il rettore Basile gli ha negato ogni appuntamento per spiegare il caso Scirè, pioniere delle ingiustizie dell’Università di Catania. Il direttore generale (defenestrato) Lucio Maggio, da cui è partita l’indagine, racconta i possibili sviluppi: «Nel nostro ateneo tutto costava quattro volte tanto, bidelli, vigilantes, cantieri».

Università di Bologna, quel concorso che non trova i commissari a Ingegneria

Articolo di Ilaria Venturi pubblicato mercoledì 29 maggio 2019 da la Repubblica ed. Bologna.

Quel concorso che non trova i commissari

A Ingegneria già tre volte la gara per due posti da associato è stata bocciata dal Consiglio di Stato. Ora in 14 hanno rifiutato l’incarico

C’è un concorso all’Alma Mater, tormentatissimo, che non trova la parola fine. Esattamente a Ingegneria, dove l’ultimo colpo di scena l’hanno scritto i commissari: ben 14, professori di Scienza delle Costruzioni in cattedra in tutt’Italia, hanno rinunciato all’incarico. E il risultato di quella raffica di dimissioni è che all’oggi una commissione non c’è. Tutti si dicono indisponibili a giudicare i candidati, e a rimanere bloccata è questa vicenda che si trascina da quattro anni, tra battaglie legali e sofferenze, che hanno provocato un terremoto nel dipartimento di Ingegneria civile, chimica ambientale e dei materiali (Dicam): lo stesso del rettore Francesco Ubertini. Un caso spinoso, finito ora sul tavolo del ministro all’università Marco Bussetti.
Il caso scoppia quando una ricercatrice viene esclusa dal concorso per due posti da associato nella materia di Scienza delle Costruzioni. Tre sono i candidati, vincono gli altri due, lei fa ricorso al Tar, che lo rigetta. Il Consiglio di Stato invece l’accoglie, rilevando ogni volta un comportamento delle commissioni in violazione della par condicio nella valutazione, ai danni della ricercatrice. Per ben tre volte i giudici in appello annullano gli atti valutativi della commissione e prescrivono di rifare tutto. Nell’ultima sentenza il Consiglio di Stato fissa pure i criteri cui deve attenersi la commissione per i giudizi, pena il commissariamento. L’Ateneo si muove, dunque, secondo le indicazioni dei giudici. A marzo 2019 nomina una nuova commissione composta da tre membri, stavolta tutti esterni all’Alma Mater. Professori della materia del concorso, coi titoli per fare i commissari. Ma i primi tre docenti incaricati rinunciano, contestando il fatto che i giudici abbiano già indicato i criteri di valutazione, sempre cambiati dalle precedenti commissioni e sempre a svantaggio della ricercatrice. L’università accoglie le dimissioni e ne nomina altri tre. Niente da fare: no grazie, ci dimettiamo. Risposte tutte uguali, nella maggior parte dei casi i professori si trincerano dietro al fatto che c’è poco tempo, 15 giorni secondo la sentenza, per una nuova valutazione. E di tre nomine in tre si è arrivati a metà maggio a ben 14 docenti che hanno rinunciato all’incarico, mentre uno declina affermando di non aver ricevuto comunicazione dall’Ateneo.
Surreale. Mai visto. Al punto che l’avvocata Lucia Annicchiarico, che segue il ricorso della ricercatrice esclusa, scrive al ministro Bussetti e al sottosegretario Lorenzo Fioramonti per chiedere «un controllo di legalità» sulla vicenda. Oltre alla lettera, inviata nei giorni scorsi, parte un nuovo ricorso in cui viene chiesto ai giudici di sostituirsi all’amministrazione universitaria: «È venuto meno il rapporto di fiducia, chiediamo che sia il Consiglio di Stato a nominare direttamente la ricercatrice nel ruolo di associata e solo in subordine un commissario ad acta», spiega la legale.
«I tre candidati interni stanno vivendo una situazione di estrema incertezza che va risolta: questo impasse ci mette in difficoltà anche nella gestione dei corsi», osserva il direttore del dipartimento Alberto Montanari. «Dopo la terza sentenza abbiamo pensato di avvalerci solo di commissari esterni: abbiamo fornito all’Ateneo una prima lista di nove nomi, poi una seconda di altri nove. Ora siamo arrivati agli ultimi tre: se si dovessero dimettere anche loro, dovremmo chiamare docenti dall’estero o di settori affini. Intanto il dipartimento ha deliberato ulteriori due posti da associato per interni, per contribuire a risolvere la situazione. Ma non sarà sufficiente se prima non si sblocca questa storia che vede coinvolti tre candidati che stimo, persone che lavorano da una vita con noi. La situazione che s’è creata è complessa e inusuale: va trovata una soluzione che garantisca imparzialità nei giudizi e tempi brevi».