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La Madia ci chiede i danni, ma il “Fatto” li chiederà a lei

Articolo pubblicato domenica 25 febbraio 2018 da il Fatto Quotidiano.

La Madia ci chiede i danni, ma il “Fatto” li chiederà a lei

La ministra si sente diffamata dagli articoli, il nostro giornale dalle sue accuse

Dopo averlo annunciato quasi un anno fa, a pochi giorni dalla fine della campagna elettorale il ministro Marianna Madia (Pd) ha convocato il Fatto Quotidiano, il direttore Marco Travaglio, il vicedirettore Stefano Feltri e la collaboratrice Laura Margottini, dando il via alla procedura di mediazione che prelude, salvo accordo fra le parti, piuttosto improbabile, all’introduzione della causa civile per risarcimento danni, definito allo stato “indeterminato”. La Madia contesta gli articoli sulle irregolarità nella sua tesi di dottorato che hanno avuto una “eco vastissima”, articoli dai quali il ministro si è sentita “gravemente diffamata e ingiuriata”. Le “accuse” infondate, secondo la denuncia degli avvocati Nicola Madia e Giuseppe Niccolini, sono tre: aver copiato la tesi di dottorato in Economia del lavoro discussa all’Imt di Lucca nel 2008, “aver altresì copiato altri saggi su riviste scientifiche”, non essersi mai recata all’università di Tilburg, dove, secondo quanto dichiarato nella tesi, la Madia avrebbe dovuto svolgere un esperimento di economia comportamentale al centro del terzo capitolo del lavoro. Queste notizie sono “false”, scrivono gli avvocati, come hanno certificato la commissione istituita dall’Imt, la perizia della società Resis, e il Cambridge Journal of Economics.

In realtà il Fatto non ha mai contestato alla Madia di “aver copiato” l’intera tesi di dottorato, ma di non aver rispettato le regole sulle citazioni, con oltre 4000 parole riprese da lavori altrui senza che questo fosse evidente dal testo. E non soltanto per aspetti marginali ma anche, tra l’altro, per il modello economico al centro del secondo capitolo che, alla lettura, pare una creazione originale della Madia, mentre così non è. Queste irregolarità sono state confermate sia da esperti indipendenti contattati dal Fatto – che hanno riscontrato un numero maggiore di parole riprese da lavori altrui senza corretta citazione – e perfino dalla perizia Resis, società incaricata da Imt di analizzare la tesi (e tutt’altro che terza perché titolare di un contratto assegnato senza gara per quasi 40.000 euro per docenze e consulenze proprio da Imt). La perizia, e dunque la commissione, hanno poi assolto la Madia sostenendo che nella ricerca economica vigono standard sul plagio e sulle citazioni diversi da altre discipline, giudizio inedito e subito contestato dalla Società italiana degli economisti e da accademici importanti come Roberto Perotti della Bocconi. Il Cambridge Journal of Economics ha ritenuto di non sanzionare l’articolo firmato da Madia e dalla collega Caterina Giannetti ma resta il fatto che quell’articolo, con due autrici, appare pressoché identico nella tesi ma a firma della sola Madia. E omettere la presenza di un co-autore in un lavoro di dottorato è una scorrettezza grave, come riconosce anche la perizia di Resis.

E veniamo all’Università di Tilburg: il Fatto ha più volte contattato l’ateneo olandese in cerca di una conferma di quanto dichiarato dalla Madia nella tesi, cioè di essere stata lì come “short visiting PhD student” e di aver condotto nel CENTER dell’università un esperimento di economia comportamentale sull’impatto della flessibilità contrattuale sul comportamento di lavoratori e aziende. Tilburg non ha mai fornito elementi a sostegno di queste affermazioni, dell’eventuale passaggio della Madia non esiste alcuna prova, dicono dall’ateneo, e neppure dell’esperimento sui cui risultati si regge un terzo della tesi (e questo è inusuale perché questi esperimenti devono rispettare protocolli standard che richiedono autorizzazioni e liberatorie). Il 15 febbraio, in una intervista a Vanity Fair, per la prima volta la Madia ha risposto a una domanda precisa sul punto: “All’Università di Tilburg è andata davvero a svolgere un esperimento di tesi?”. Risposta: “Ma certo, ho partecipato a un seminario informale dove ho presentato un articolo della tesi. Ci sono professori che sono pronti a testimoniare in tribunale”. Neppure la Madia, quindi, conferma quando dichiarato dieci anni fa nella tesi: a un seminario informale si presentano risultati o si ascoltano relazioni altrui. Ma se ha soltanto seguito un seminario, dove e quando ha svolto l’esperimento? E come mai non ha lasciato traccia?

Questi sono i fatti. Nulla di quanto scritto dal Fatto è mai stato smentito. Anche le analisi della società Resis con i software antiplagio hanno, con piccole variazioni dovute all’impostazione discrezionale, confermato i risultati ottenuti da analoghi controlli svolti da Laura Margottini per il Fatto. Eppure da un anno il ministro Madia usa i suoi social network per diffondere l’impressione che ci sia una campagna contro di lei a base di menzogne condotta dal Fatto. “Le faccio una domanda: quella perizia lei l’ha letta in originale o sul giornale”, dice per esempio all’intervistatrice di Vanity Fair, suggerendo che il Fatto abbia manipolato il documento o presentato una selezione faziosa del contenuto. Già con le sue prime minacce di querela, a marzo 2017, e poi con l’infondata richiesta di risarcimento danni ora la Madia ha cercato di minare la credibilità del Fatto, non avendo argomenti per contestare nel merito quanto rivelato. Per queste ragioni all’incontro tra le parti, previsto per il 7 marzo, il Fatto non avvierà alcuna mediazione con il ministro Madia, anzi. Il Fatto, con l’avvocato Caterina Malavenda, presenterà una domanda riconvenzionale, chiederà cioè il risarcimento del danno subito dall’accusa infondata di aver tenuto una condotta diffamatoria nei confronti della Madia.

La tesi della Madia copiata, si dimette professore dell’Imt

Articolo pubblicato martedì 13 febbraio 2018 da il Fatto Quotidiano.

La tesi della Madia copiata, si dimette professore dell’Imt

La prima vittima del caso Madia è il più accanito difensore del ministro e della sua tesi di dottorato piena di irregolarità, denunciate prima dal Fatto e poi riscontrate da una perizia commissionata proprio da Imt: il professor Gilberto Corbellini ha presentato ieri le sue “dimissioni irrevocabili” dal direttivo della scuola di Alti studi di Lucca per la “posizione di dissenso” con il direttore Pietro Pietrini “in merito ad alcuni giudizi espressi dal professor Corbellini in questi ultimi giorni su un organo di stampa nazionale”. Il riferimento è agli articoli che Corbellini ha scritto sul Mattino di Napoli attaccando il Fatto e soprattutto gli accademici che avevano criticato la tesi della Madia, dopo gli ultimi articoli del Fatto sulla perizia. Corbellini era anche andato allo scontro con Francesco Sylos Labini, figlio del famoso economista Paolo (un suo lavoro – un manifesto politico firmato con altri economisti – viene citato nella perizia come esempio che in economia copiano tutti, per assolvere la Madia nonostante le acclarate scorrettezze sulle citazioni di testi altrui non correttamente indicate). Per Corbellini le critiche alla Madia erano “chiacchiere da bar”. I toni devono essere stati troppo anche per l’Imt.

Annalisa Rosselli (Università di Roma Tor Vergata) – Caso Madia: gli economisti non copiano

Articolo pubblicato giovedì 8 febbraio 2018 da il Fatto Quotidiano.

Caso Madia: gli economisti non copiano

La presidente dell’Associazione Italiana del settore: la correttezza è un obbligo

Caro Direttore, nell’articolo del 4 febbraio comparso sul Suo giornale “Madia, la perizia sulla tesi: ‘Violati gli standard accademici, molte fonti non sono citate’” viene riportata la frase, che sarebbe desunta dal rapporto commissionato dall’Imt di Lucca alla società Resis di Enrico Bucci, secondo la quale “il settore disciplinare all’interno del quale la tesi si situa tollera comportamenti che altrove sarebbero definiti inaccettabili”. Non entriamo nel merito del caso specifico, ma dal momento che il settore disciplinare a cui si fa riferimento è quello delle scienze economiche, voglio manifestare a nome della Società Italiana degli Economisti che attualmente presiedo la mia profonda indignazione per l’accusa di comportamenti contrari all’etica professionale e scientifica che viene mossa all’intera categoria degli economisti e che ora è diffusa – mi auguro involontariamente – dal suo giornale.

Non conoscendo il contenuto del rapporto a cui fa riferimento l’articolo, non è possibile desumere sulla base di quali fatti il dottor Bucci sia arrivato a questa sorprendente conclusione, visto che l’unico elemento portato a suo sostegno è il riferimento a un manifesto a carattere politico (non un articolo scientifico) che riporta brani di alcuni dei firmatari, cosa ben diversa da un plagio. Posso però rassicurare i suoi lettori che gli standard seguiti dagli economisti, italiani o stranieri, nella pubblicazione dei risultati delle loro ricerche non sono di certo inferiori a quelli di nessun’altra disciplina scientifica. Potrei argomentare in dettaglio, ma mi limito a riportare l’esplicita condizione per gli autori che vorrebbero pubblicare un loro articolo scientifico nella rivista ufficiale della nostra associazione, l’Italian Economic Journal e che riprendono linee guida internazionalmente adottate. Le traduco qua (l’originale è disponibile a http://www.springer.com/economics/journal/40797?detailsPage=pltci_2503578): “Dati, testi o teorie prodotti da altri non devono essere presentati come se fossero propri (“plagio”). Adeguato riconoscimento deve essere dato ad altri lavori (compreso materiale che è riprodotto quasi alla lettera, riassunto e/o parafrasato), le virgolette devono essere utilizzate quando il materiale è riprodotto parola per parola e deve essere ottenuta l’autorizzazione per materiale coperto da copyright”.

Affermazioni simili sono presenti nel codice etico a cui devono aderire gli studenti di molti Atenei che presentano tesi magistrali o di dottorato in economia o in qualunque altra materia. Dato il ruolo che gli economisti rivestono nella nostra società, sono certa che vorrà rassicurare i suoi lettori sui loro standard scientifici e la correttezza dei loro comportamenti pubblicando questa lettera.

Presidente Società Italiana degli Economisti

La Madia copiò, ma (ri)annuncia querele

Articolo di Stefano Feltri pubblicato lunedì 5 febbraio 2018 da il Fatto Quotidiano.

La Madia copiò, ma (ri)annuncia querele

La ministra dice che farà causa perché abbiamo rivelato come ha scritto la sua tesi di dottorato

Il ministro della Funzione pubblica Marianna Madia (Pd) annuncia, per la seconda volta in un anno, una “azione legale di risarcimento danni” perché Il Fatto “insiste” nonostante “Imt di Lucca e Cambridge Journal of Economics abbiano accertato la totale regolarità formale e sostanziale della tesi e degli articoli scientifici”.

Sì, Il Fatto insiste: a marzo 2017 Laura Margottini ha rivelato che, dall’analisi condotta con software anti-plagio e validata da esperti internazionali, oltre 4.000 parole della tesi di dottorato del 2008 sulla flexicurity dell’allora deputata Pd Marianna Madia risultavano prese da lavori di altri senza adeguate citazioni. Poi abbiamo scoperto che dell’esperimento di economia comportamentale al centro della ricerca non esiste traccia: l’università olandese di Tilburg dove la Madia dice di averlo condotto non l’ha mai vista.

Dopo gli articoli del Fatto, l’Imt di Lucca dove la Madia ha conseguito il dottorato ha avviato un’indagine interna. Poiché nessun professore era in grado di valutare la tesi (bizzarro per una scuola di “alti studi”), l’Imt si è affidato a una società esterna, Resis. La società aveva appena avuto un appalto da 40.000 euro senza gara dall’Imt per corsi e attività sul tema dell’e tica scientifica, ma pure la perizia indulgente firmata da Enrico Bucci (un biologo digiuno di economia) rivelata ieri dal Fatto riconosce che la Madia riporta lavori di altri senza citare e omette che un terzo della tesi lo ha scritto con una sua collega. Resis glissa completamente sull’esperimento fantasma – il punto più imbarazzante – e assolve la Madia con una motivazione che dovrebbe far indignare i veri economisti che finora sono stati, con rare eccezioni, pavidi e omertosi sul caso: “Sebbene questo risulti sorprendente anche per chi scrive, a valle della presente analisi è evidente che il settore disciplinare all’interno del quale la tesi si situa tollera comportamenti che altrove sarebbero inaccettabili senza che questo costituisca un particolare problema”. Questi i fatti. Se al Cambridge Journal, dove è apparso il capitolo 2 della tesi (con la firma della co-autrice prima rimossa) va bene pubblicare articoli scientifici di questo livello è affar suo, ognuno fa ciò che crede della propria credibilità. E se l’Imt di Lucca protegge la sua allieva più illustre con argomenti che dovrebbero far scappare qualunque studente con un minimo di amor proprio è scelta discutibile ma legittima. Ma è bene che gli elettori cui la Madia chiede la rielezione, nel collegio di Roma2 e nelle liste del Pd al proporzionale, abbiano chiaro il quadro. Un ministro ha ottenuto un dottorato che le permette di avere una carriera accademica in questo modo. E quando un giornale lo scopre, anche grazie alla “legge Madia” sull’accesso agli atti, invece che dimettersi come fanno i ministri nei Paesi in cui ai politici è richiesta un’integrità almeno analoga a quella del cittadino medio, minaccia azioni legali per intimidire.

E voi economisti, se tacete perché davvero “così fan tutti”, non osate mai più farci prediche dalle colonne dei grandi giornali sulla meritocrazia e la competenza che i politici devono dimostrare per essere degni del loro incarico.

Le carte ottenute grazie alla legge Madia

Articolo di Virginia Della Sala pubblicato domenica 4 febbraio 2018 da il Fatto Quotidiano.

Le carte ottenute grazie alla legge Madia

Ventotto documenti scansionati e inviati in formato pdf tramite Pec, la posta elettronica certificata: sono quelli che riguardano venti richieste di accesso inviate all’Imt di Lucca per avere informazioni sulle analisi effettuate sulla tesi di dottorato del ministro della Funzione Pubblica, Marianna Madia e ottenute grazie al Foia, il Freedom of Information Act introdotto proprio dal ministro Madia a fine 2016 con la riforma della Pubblica Amministrazione.

La richiesta del cosiddetto “Accesso generalizzato” a informazioni, dati e atti che riguardano la pubblica amministrazione può essere effettuata da tutti i cittadini: le nostre richieste sono state inviate, sempre tramite posta elettronica certificata e secondo quanto previsto dalla legge (con apposito formato e allegando la scansione di un documento d’identità) all’indirizzo di posta certificata dell’Istituto di Lucca l’11 novembre 2017.

La prima risposta è arrivata il 29 novembre: erano stati individuati (come previsto dalla legge) dei controinteressati, ovvero la Madia stessa e il perito incaricato di valutare la tesi, Enrico Bucci. Imt ci avvisava che era stata loro trasmessa la nostra richiesta. Era loro facoltà opporsi al nostro accesso agli atti: a quel punto – secondo la norma – avrebbero dovuto fornire, entro dieci giorni, una “motivata opposizione” che avrebbe generato una ulteriore valutazione della richiesta da parte dell’Imt di Lucca o del garante della Privacy, a seconda delle motivazioni. Va ricordato che, in caso di rifiuto, il cittadino può presentare ricorso al responsabile dell’Anticorruzione, al difensore Civico, al garante della Privacy (se il diniego è legato ai dati) o al Tar.

L’opposizione in questo caso non c’è stata e l’Imt ha accolto quasi tutte le richieste, respinto e motivato quelle che non potevano essere soddisfatte (perché non esistevano i documenti richiesti), aggregato quelle coincidenti: abbiamo così ricevuto centinaia di pagine di testo ben prima della scadenza dei 30 giorni fissata dalla legge (nei dieci giorni concessi al controinteressato, infatti, si sospendono i tempi della procedura). Uno dei documenti, oltretutto, non risultava completo: anche in questo caso, dopo una semplice sollecitazione (sia via Pec che telefonica) siamo riusciti ad ottenerne la versione integrale nel giro di un’ora. Senza problemi. La legge Madia ha funzionato anche per accedere ai documenti che riguardavano il ministro Madia.

 

Tesi, la Madia ha copiato: lo dice la perizia ufficiale

Articolo di Laura Margottini pubblicato domenica 4 febbraio 2018 da il Fatto Quotidiano.

Tesi, la Madia ha copiato: lo dice la perizia ufficiale

L’analisi dell’Imt di Lucca certifica le pratiche scorrette ma la assolve: “In economia fanno tutti così”

“Sebbene questo risulti in qualche modo sorprendente anche per chi scrive, a valle della presente analisi è evidente con chiarezza che il settore disciplinare all’interno del quale la tesi si situa tollera comportamenti che altrove sarebbero definiti inaccettabili senza che questo costituisca un particolare problema”.

È questa la conclusione a cui arriva la perizia commissionata dall’Imt di Lucca, la scuola di alti studi che, dopo gli articoli del Fatto Quotidiano, ha dovuto avviare una inchiesta interna per verificare quanto ci fosse di davvero originale nella tesi del 2008 sulla flessibilità del lavoro con cui l’allora deputata del Pd e oggi ministro Marianna Madia ha conseguito il dottorato in economia. La Madia non viene sanzionata ma tutti i comportamenti scorretti denunciati dal Fatto risultano confermati. Il rapporto interno però concede un’attenuante singolare: in economia copiano tutti.

Ci sono alcuni dettagli da chiarire di questa perizia così indulgente. Come emerge dai documenti ottenuti dal Fatto tramite il Freedom of information act italiano, la società Resis di Enrico Bucci, scelta dal direttore di Imt Pietro Pietrini per la perizia sulla tesi della Madia, non è “ente terzo” rispetto all’Imt, come invece aveva dichiarato la scuola il 30 ottobre 2017. Il 29 settembre Resis ha infatti ottenuto da Imt un appalto da 39.900 euro per un corso su frodi scientifiche e controlli antiplagio “su tesi e pubblicazioni”. Ottenuto l’appalto, l’11 ottobre, Enrico Bucci, direttore di Resis, produce la perizia che ammette le copiature della Madia ma la salva, tra le motivazioni la presenza di un contributo originale nella tesi: l’esperimento di economia comportamentale del terzo capitolo, condotto, dichiara la Madia, all’università di Tilburg in Olanda.
Contattata per la quarta volta dal Fatto il 1 febbraio 2018, Tilburg continua a escludere la presenza della Madia e che l’esperimento sia mai stato condotto. Esperimenti del genere devono essere autorizzati da un comitato interno all’università, dopo molte pratiche burocratiche. A Tilburg non risulta alcun documento.
Nelle carte di Imt consegnate al Fatto sono indicate diverse missioni all’estero della Madia nel corso del suo dottorato, ma nessuna a Tilburg. Da regolamento Imt, la trasferta doveva essere autorizzata dalla scuola. Non ne parla neanche Fabio Pammolli, ex direttore di Imt e tutor della Madia, nella sua relazione finale di dottorato. Presentare come “contributo originale” un esperimento non avvenuto rientra tra i casi di frode scientifica. Ma la perizia non si occupa del punto.
Imt aveva annunciato di aver scelto la Resis di Bucci dopo “una ricerca volta ad individuare esperti terzi di comprovata esperienza in materia di plagio, integrità della ricerca e condotta scientifica”. Ma né dai documenti di Imt (né da ulteriori verifiche), risulta che siano stati contattati altri esperti, né che Resis abbia mai effettuato controlli antiplagio su testi accademici prima del caso Madia. Secondo gli esperti sentiti dal Fatto, non esiste un mercato di aziende che si sostituisca all’Accademia per casi come questo.

Enrico Bucci è un collaboratore della Senatrice Elena Cattaneo, laureato in Biologia alla Federico II di Napoli, con un dottorato in Germania, e ha varie pubblicazioni scientifiche in quell’ambito. Dal 2013 a oggi risultano alcuni lavori (atti di convegni e libri) sulla frode scientifica e articoli scientifici su un metodo per riconoscere l’autenticità di immagini in biologia molecolare. Ma nessuna pubblicazione peer reviewed (certificata da altri esperti) in materia di antiplagio, diversamente dagli esperti consultati dal Fatto sul caso Madia. Nel suo CV, Bucci si presenta come “adjunct professor” (professore a contratto) alla Temple University di Philadelphia (Usa) e direttore del programma di Sistemi biologici all’Istituto no profit di ricerca Sbarro della Temple.
Bucci stesso, in alcuni passaggi nella sua perizia sulla Madia, riconosce i suoi limiti e lascia “al giudizio degli esperti” le valutazioni sulla qualità del lavoro di ricerca della Madia. Eppure la Resis era stata scelta proprio perché la commissione di professori ordinari interni a Imt nominata da Pietrini riteneva di non avere competenze per giudicare un caso di potenziale plagio in Economia. Anche se l’Imt in Economia conferisce dottorati.

 

Turismo e cultura, la Scuola di Franceschini costata milioni per produrre nulla

Articolo di Alberto Crepaldi pubblicato martedì 16 gennaio 2018 dal sito di gli Stati Generali.

Turismo e cultura, la Scuola di Franceschini costata milioni per produrre nulla

Al bilancio dello Stato – capitoli turismo e cultura – è costata, sino ad oggi, più di quindici milioni di euro. E negli ultimi due anni ha garantito un appannaggio di 180 mila euro all’anno ad una docente già stipendiata dalla scuola pubblica di alti studi IMT di Lucca. Ma, in cinque anni e mezzo di esistenza formale, non ha prodotto nulla. Parliamo della ‘Scuola dei beni e delle attività culturali e del turismo‘ – già ‘Fondazione di studi universitari e di perfezionamento sul turismo’ – del Ministero dei Beni e le Attività Culturali e del Turismo (Mibact) guidato da Dario Franceschini. Nata nel 2012 grazie ad un articolo ad hoc infilato nelle “misure urgenti per la crescita del Paese” varate dal Governo Monti, la Fondazione è finita ben presto su un binario morto, in un limbo politico-istituzionale. Particolarmente paradossale, questa situazione, se consideriamo che una coalizione trasversale rappresentata dall’allora governatore della Regione Campania Stefano Caldoro e dal Sindaco di Napoli Luigi De Magistris condusse una battaglia epocale affinché la città partenopea fosse indicata, come avvenne, quale sede dell’istituto. Il 31 dicembre 2014, dopo che dai radar era completamente scomparsa, arriva per la Fondazione un’altra norma taylor made, inserita nel decreto milleproroghe per volontà di Dario Franceschini. La Fondazione di studi universitari e di perfezionamento sul turismo viene prorogata fino al 31 dicembre 2017 e, in conseguenza dell’estensione del suo ambito operativo al settore dei beni e delle attività culturali, appunto ribattezzata ‘Scuola dei beni e delle attività culturali e del turismo’.

La missione della Scuola affidata al governo del Mibact – posta in particolare sotto la gestione della direzione generale turismo retta da Francesco Palumbo – e anche per questo ospitata nel Palazzo del Collegio Romano ove ha sede il Ministero stesso, è apparentemente nobile quanto ambiziosa: fare formazione, ricerca e studi avanzati a livello internazionale con lo “scopo di sviluppare le risorse umane, la ricerca, la conoscenza e l’innovazione nell’ambito delle competenze del Ministero”. Nello statuto predisposto dagli uomini di Franceschini al Mibact si vola altissimo, indicando addirittura l’obiettivo di dare vita ad “un modello formativo e di ricerca di eccellenza di standard internazionali negli ambiti della tutela, gestione, valorizzazione e promozione dei beni, delle attività culturali e del turismo”.

Traguardi, sulla carta, così strategici non potevano che meritare uno sforzo finanziario importante, concretizzatosi con stanziamenti enormiai 4 milioni messi sul tavolo dal Ministero degli Affari Regionali nel 2013, si sono aggiunti 3,9 milioni nel 2016 da parte della direzione generale turismo del Mibact, che nel 2017 ha donato alla causa altri 3,4 milioni di euro.

Oltre a queste cifre vanno poi considerate quelle che già le norme istitutive della Scuola, approvate dall’ex premier Monti, avevano indicato come somme limite da utilizzare per lo svolgimento delle attività nel triennio 2012-2014: sei di milioni di euro. A cui, grazie ad un emendamento alla manovra di bilancio 2018, si aggiungeranno 2 milioni a partire dal 2020 in modo che la disponibilità totale «a regime» sarà di 3,5 milioni all’anno. Un fiume di denaro, che, vista l’inoperatività dell’istituto, sono serviti fino ad ora a pagare l’esiguo gettone di presenza all’unico dei tre componenti del Consiglio di gestione che non vi ha rinunciato, nonché modesti compensi e rimborsi spese al Collegio dei Revisori. Ma soprattutto l’appannaggio, pari a 180.000 euro, di Maria Luisa Catoni, docente all’IMT di Lucca, di area lettiana, designata da Dario Franceschini a direttrice dell’alta scuola di formazione del Mibact il 2 febbraio 2016.

Incarico, quello assegnato alla Catoni, che ha suscitato dubbi sulla legittimità di essere contemporaneamente docente a Lucca e direttrice della Scuola a Roma. Dubbi sfociati in una interrogazione al Ministro Dario Franceschini, firmata dal pentastellato Gianluca Vacca e da quattro suoi colleghi, presentata nel settembre dello scorso anno, ma tutt’ora rimasta senza alcuna risposta. Nell’atto ispettivo i cinque parlamentari chiedono, in particolare “se l’incarico […] sia stato conferito con scelta diretta e discrezionale […] e se siano stati considerati altri curricula, […] quali siano state le altre posizioni valutate e […] i criteri di scelta che hanno condotto alla nomina […] e se il Ministro […] abbia verificato preventivamente le eventuali situazioni di incompatibilità, ai sensi della normativa vigente, della professoressa Catoni ed in particolare in virtù del suo ruolo di professore ordinario presso l’Imt di Lucca e, in caso negativo, se intenda assumere iniziative in tal senso”.

È immaginabile l’imbarazzo, da parte di Dario Franceschini ma soprattutto di chi come Francesco Palumbo ha firmato “al buio” gli atti di  finanziamenti per oltre 7 milioni di euro, nel vedersi recapitare sul tavolo un atto ispettivo che lambiva un tema così scivoloso come quello della Scuola. Istituto, come detto, che fino ad ora non ha messo in pista alcun progetto formativo, nonostante le prime azioni fossero state annunciate con enfasi e come imminenti addirittura nel giugno del 2015 dal ministro Franceschini in persona.

Proprio nei giorni scorsi, dopo una serie di inspiegabili rinvii, come ci aveva annunciato l’ufficio stampa del Mibact a seguito di reiterate richieste di semplici informazioni, è stato pubblicato un bando di selezione dei partecipanti al primo ciclo della ‘Scuola del Patrimonio’bollata come “un’infamia contro i professionisti della Cultura” dal seguito blog Miriconosci, nato nel 2015 per iniziativa di esperti e studiosi del mondo dei beni culturali. La curiosità:  il bando della scuola in questione è stato affidato in gestione, per 10.200 euro, al Consorzio Cineca, con questa singolare motivazione: “[..] la attuale fase di start-up e in attesa dell’implementazione di una apposita unità operativa informatica”.

Tesi Madia, 200 giorni dopo l’ateneo non sa dire se fu plagio

Articolo di Laura Margottini pubblicato venerdì 6 ottobre 2017 da il Fatto Quotidiano.

Tesi Madia, 200 giorni dopo l’ateneo non sa dire se fu plagio

L’alta scuola di Lucca si rifiuta di spiegare quando chiuderà l’indagine aperta ad aprile dopo l’inchiesta del Fatto. In Germania ci vollero due mesi e il ministro zu Guttenberg si dimise

Dopo 200 giorni di indagini, la Scuola Imt Alti studi di Lucca non ha ancora stabilito se Marianna Madia, ministra della Pubblica amministrazione dei governi Renzi e Gentiloni abbia copiato la tesi con cui si è dottorata nel 2008, come è emerso da un’inchiesta del Fatto dello scorso marzo. “La procedura è in fase conclusiva” ha spiegato al Fatto Pietro Pietrini, direttore di Imt. Alla domanda su quando si concluderà l’indagine – partita il 18 aprile scorso, quasi sei mesi fa – Pietrini si è rifiutato di rispondere.

Nel 2011, l’Università di Bayreuth, in Germania, revocò immediatamente il dottorato all’allora ministro della Difesa tedesco Karl-Theodor zu Guttenberg dopo che i giornali avevano svelato che un’ampia parte delle 475 pagine della sua tesi era stata copiata. In capo a due mesi, un’inchiesta interna dell’università confermò che si trattava di plagio.

La tesi della Madia (“Essays on the Effects of Flexibility on Labour Market Outcome”) è di 95 pagine (al netto di bibliografia e tabelle), cioè un quinto di quella di Guttenberg. Su 35 di esse il Fatto ha rilevato passaggi identici a quelli presenti in pubblicazioni di altri autori, senza virgolette né citazioni, per un totale di almeno 4 mila parole, con il risultato che non è possibile distinguere il testo originale della ministra da quello di altri autori. Per gli esperti sentiti dal Fatto, tra cui quelli che hanno analizzato la tesi di zu Guttenberg, i blocchi copiati sfiorano le 8 mila parole. Ben Martin, direttore di Research Policy, rivista di riferimento internazionale per gli standard accademici in materia di plagio, ha svolto un controllo indipendente sulla tesi: “Quello che abbiamo qui è un inaccettabile livello di plagio” ha dichiarato al Fatto il 31 marzo scorso.

Ci sono poi altri aspetti mai chiariti né da Imt né dai relatori della tesi, Fabio Pammolli (direttore di Imt nel 2008) e Giorgio Rodano, già professore ordinario di Economia a ll ’Università Sapienza. Secondo la ricostruzione del Fatto, Madia si è dottorata il 22 dicembre 2008 (Imt non ha mai reso noto quale fosse la data esatta). Quel giorno il sito di Imt riporta che a discutere la tesi c’erano gli studenti Luigi Moretti e Valerio Novembre, ma non la futura ministra. Sul sito, il suo nome non compare in nessuna sessione di laurea. La tesi di Madia si sovrappone alla tesi di una collega, dottoranda a Imt nel 2008: Caterina Giannetti, che non ha mai risposto alle nostre domande. Per ragioni mai chiarite, è Giannetti ad aver creato il file pdf della tesi della ministra disponibile sul sito di Imt,

Dalle tesi di Giannetti e Madia uscirono anche alcune pubblicazioni: la Giannetti firma nel 2012 “Relationship Lendings and Firm Innovativeness”, pubblicato dal Journal of Empirical Finance. Con la Madia firma, nel 2013, “Work arrangements and firm innovation: is there any relationship?” sul Cambridge Journal of Economics.

Il Fatto ha riscontrato che i due articoli presentano una serie di passaggi identici tra loro e altri molto simili. In entrambi ci sono interi passaggi identici a quelli presenti nelle pubblicazioni di altri autori, senza virgolette e spesso senza citazione nel testo. Dopo le rivelazioni del Fatto, il Cambridge Journal of Economics (Cje), della casa editrice Oxford University Press (Regno Unito), ha avviato un’inchiesta interna. Il 30 settembre il comitato editoriale ha dichiarato al Fatto che “l’articolo contiene le necessarie citazioni e non c’è evidenza di plagio”. Eppure nell’articolo del Cje esistono ampi passaggi identici a quelli presenti in altre pubblicazioni che non vengono citate. Ce ne sono poi altri – ad esempio, in “Innovativity: A comparison across seven European countries”, a firma di Mohnen, Mairesse e Dagenais, pubblicato nel 2006 da Economics of Innovation and New Technology – inseriti senza virgolette e peraltro presenti anche nella tesi della Madia senza alcuna attribuzione nel testo. Il Fatto ha chiesto al Cje di chiarire questi punti e di poter visionare le risultanze della perizia, ma non ha ottenuto ulteriori risposte.

Nella tesi, Madia dichiara anche di aver trascorso un periodo di studi all’Università di Tilburg, in Olanda, dove ha condotto l’esperimento originale della sua ricerca. L’università ha ribadito che “Marianna Madia non è mai stata studente a Tilburg” e che pertanto “è altamente improbabile che l’esperimento sia mai stato condotto”. Non risulta alcun documento relativo all’esperimento. A Tilburg nel 2008 c’erano invece Caterina Giannetti e Maria Bigoni, che si sono dottorate all’Imt il 24 aprile 2008 (lo spiega il sito). La Madia le ringrazia nella tesi “per il loro aiuto nel condurre l’esperimento”. Madia ha annunciato querela contro il Fatto a fine marzo scorso. Querela che non è mai stata notificata.