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Roberto Danovaro (Università Politecnica delle Marche) – Quella percezione da scalfire delle nostre (buone) università

Articolo pubblicato giovedì 11 luglio 2019 dal Corriere Adriatico.

Quella percezione da scalfire delle nostre (buone) università

Sono uscite in questi giorni le graduatorie relative alla qualità degli atenei italiani. Direi che esistono ragioni di soddisfazione per la regione Marche perché tutte le università regionali mostrano punteggi elevati che le pongono ai primi posti della graduatoria per i medi atenei statali. In questo caso si può veramente dire che lavorare in un ateneo di medie dimensioni è bello, nel senso che, per uno studente universitario, frequentare un ateneo marchigiano è sicuramente un vantaggio rispetto a studiare in un mega-ateneo come quello di Roma o altri, non foss’altro che per la possibilità di avere un rapporto diretto con i docenti. In Italia, in generale, la qualità del corpo docente e delle infrastrutture di ricerca universitarie è ottima. La preparazione degli studenti che escono dai nostri corsi di laurea magistrale è eccellente. Non è un giudizio benevolo, ma una constatazione che nasce dall’evidenza che all’estero i nostri studenti ricevono moltissime offerte di borse di studio e di ricerca. Allora tutto bene? No, certamente non è tutto positivo. Ci sono moltissime cose da migliorare. In primo luogo esiste una percezione negativa sulla capacità dell’Università di promuovere il merito, almeno per quanto riguarda le carriere dei giovani. Gli scandali dei concorsi, come quello recente dell’Università di Catania, sottolineano quanto il mondo universitario sia ancora in alcuni casi chiuso e che alcuni concorsi siano ancora troppo pilotati e poco trasparenti. L’autonomia universitaria, cosa buona in linea di principio, è stata utilizzata purtroppo anche per promuovere interessi particolari a discapito dei migliori. Anche se questa non è la regola, e ci tengo a sottolinearlo. I giovani che trovano una collocazione nelle università italiane non sono tutti non meritevoli, anzi la stragrande maggioranza è di alto livello. Gli scandali recenti rischiano da dare una percezione sbagliata delle nostre Università, di fare di tutta un’erba un fascio. Quindi, il fatto che in alcune università italiane (come in altri ambiti pubblici) siano stati condotti dei concorsi in modo scorretto non deve diventare un alibi per chi non riesce a raggiungere gli obiettivi sperati o per fuggire all’estero. Molti dei nostri giovani laureati vanno all’estero anche perché sono attratti da molte più opportunità in termini di borse di studio e di posti di dottorato. Non solo perché sono stati scalzati da altri candidati meno meritevoli. I finanziamenti pubblici alla ricerca nella sola Germania sono pari a circa 92 miliardi di euro all’anno, mentre il finanziamento a tutte le università italiane non raggiunge 8 miliardi di euro oltre a circa 6 miliardi per gli enti di ricerca e ai finanziamenti strategici. Se consideriamo che il PIL della Germania è circa 3000 miliardi di euro e quello dell’Italia circa 1.8 miliardi non c’è dubbio che l’attenzione del nostro Paese per la formazione e la ricerca sia ancora troppo bassa per poter competere con i migliori. Se in Germania vengono bandite fino a 10 volte più borse di studio di quelle italiane, diventa normale che un bravo neolaureato italiano sia attratto dall’opportunità di farlo all’estero. Ma i problemi non finiscono qui. Ci sono troppi corsi di laurea a numero chiuso. Io sono da sempre contrario al numero chiuso. Mi sembra contro la logica della selezione del migliore, perché il migliore si vede alla fine del percorso non all’inizio, e contrario ai principi della Costituzione. Dobbiamo offrire a tutti la possibilità di scegliere il corso di laurea che preferiscono. La selezione non va fatta con test (a pagamento) che nulla hanno a che fare con il merito, ma con i risultati degli esami di profitto dei corsi. Se ci sono troppe domande per alcuni corsi, come ad esempio per medicina, si devono potenziare le strutture e i docenti, non mettere il numero chiuso, per poi magari scoprire che non formiamo abbastanza medici ed essere obbligati a reclutare dottori dalla Polonia perché i nostri medici vanno in pensione e non abbiamo giovani ricambi che abbiano studiato nelle nostre ottime università. Mantenere un figlio all’università costa ancora troppo per una famiglia monoreddito o in condizioni disagiate. Si fa ancora troppo poco per sostenere gli studenti che vengono da fuori sede e che hanno bisogno di alloggi, di sostegno di diverso tipo (libri, alloggi, biblioteche, mense) da parte degli atenei. Il sistema universitario regionale, a mio avviso, deve fare di più se vuole essere più attrattivo per gli studenti che vengono da fuori regione. Analogamente, i corsi di laurea italiani non sono molto attrattivi per gli studenti stranieri. Questo risultato è in parte dovuto al fatto che siamo reticenti ad attivare corsi di studio internazionali in inglese. Inoltre, non abbiamo docenti stranieri o sono pochissimi, mentre gli italiani abbondano nelle migliori università all’estero. Sono anomalie che andrebbero corrette se vogliamo università all’avanguardia. Infine, un’ultima nota negativa, in Italia ci sono ancora pochissimi laureati, circa il 20% della popolazione, contro una media del 33% dei paesi OCSE e circa il 40% in Spagna, Francia e Germania. È difficile far crescere un paese, sia culturalmente sia economicamente, se non formiamo di più e meglio le nuove generazioni e non le prepariamo ad affrontare, con le migliori conoscenze, i problemi che verranno. Quindi rimbocchiamoci le maniche, c’è ancora molto da fare per i nostri giovani se vogliamo che restino in Italia per migliorare il nostro Paese.