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Maria Pia Veladiano – Ma ora serve il coraggio di non fare marcia indietro

Articolo pubblicato sabato 14 ottobre 2017 da la Repubblica.

Ma ora serve il coraggio di non fare marcia indietro

L’alternanza scuola lavoro esisteva ben prima della legge 107 della “buona scuola”. Ne facevano esperienza gli studenti che lo richiedevano, in contesti significativi, legati al corso di studi e al progetto di vita. Chi intendeva studiare giurisprudenza andava in uno studio legale o da un notaio e metteva alla prova il suo sogno con la realtà. Chi studiava in un indirizzo economico andava in azienda. In alternanza le scuole accompagnavano anche studenti in difficoltà e demotivati: era un formidabile strumento di rimotivazione.

Nessuna protesta e nessun problema per anni. Anzi, gli studenti si mettevano in fila.

Perché adesso si scatena la bufera? Perché la legge 107 l’ha introdotta da un giorno all’altro, obbligatoria per tutti e con un numero di ore oggettivamente spropositato: 200 ore nei licei e 400 negli istituti tecnici, da fare negli ultimi tre anni di scuola. Il che significa che un tecnico di media grandezza, che ha 15 classi nel triennio, ciascuna di 30 studenti, deve organizzare 180mila ore di alternanza, ovvero 60mila all’anno.

Indipendentemente dal contesto (ci sono aziende? ci sono aziende preparate? ci sono insegnanti preparati a questo?) e dalle risorse. E ogni ragazzo deve fare i corsi per la sicurezza, deve avere un progetto formativo specifico. È stata una corsa forsennata, ed è possibile che qualche scuola non abbia trovato la formula giusta e qualche azienda ne abbia approfittato. Le scuole che avevano già una rete di contesti lavorativi coltivata negli anni riescono a offrire esperienze splendide. I licei artistici realizzano l’alternanza nella forma della “committenza” e le classi dipingono refettori, ospedali, stazioni. I ragazzi dell’indirizzo sanitario vanno nei laboratori, nelle farmacie e negli ospedali e si mettono in gioco nelle relazioni, nelle competenze, vanno a studiare la sera quel che capiscono che servirà il giorno dopo in laboratorio e sul lavoro più avanti. Perfetto. Ma in nessun momento lo studente deve avere la percezione che l’alternanza sia una formalità da adempiere o una forma subdola di sfruttamento.

Bisogna ripensare la quantità di ore: 400 sono troppe, soprattutto in realtà svuotate dalla crisi. Anche le scuole più virtuose sono in gravissimo affanno. Bisogna sorvegliare sugli abusi, favoriti dalla fretta con cui tutto è accaduto.

Bisogna non stritolare le scuole e dare risorse amministrative oltre che economiche. Qualcuno ha idea di quante carte, letteralmente, le segreterie devono produrre per ogni progetto individuale di alternanza? Ma interrompere il dialogo fra scuola e mondo del lavoro è sbagliato e anacronistico. Ora il Miur deve avere il coraggio di tenere il punto ma di cambiare quello che non va.

Oggi la protesta degli studenti. Confindustria prende le distanze da chi gestisce male lo strumento

Articolo di Maria Pia Ceci pubblicato venerdì 13 ottobre 2017 sul sito di Scuola24.

Oggi la protesta degli studenti. Confindustria prende le distanze da chi gestisce male lo strumento

Primo sciopero dell’alternanza scuola-lavoro oggi, con gli studenti in piazza a Roma e in altre settanta città. Il provvedimento previsto dalla legge della Buona Scuola – dicono gli studenti – così come viene applicato non va nella direzione giusta e va ripensato.
«Abbiamo convocato il primo sciopero per denunciare la condizione attuale di sfruttamento vissuta dagli studenti» – spiega Francesca Picci, dell’Unione degli studenti. «Siamo partiti da una nostra inchiesta su tutto il territorio nazionale che ha evidenziato molti casi di sfruttamento. Vogliamo un’alternanza di qualità, non vogliamo pagare i percorsi che dovrebbero invece essere formativi. Vogliamo inoltre uno statuto dei diritti delle studentesse e degli studenti e chiediamo alla ministra Fedeli che fine ha fatto questo statuto».

Gli studenti chiedono dunque al governo un intervento normativo che possa portare ad un corretto svolgimento dell’alternanza scuola-lavoro. Ma la responsabilità è anche delle aziende, spiegano.
«La responsabilità è quella di avere come unico obiettivo il profitto – spiega ancora Picci. Noi vogliamo che si individuino tutor aziendali e percorsi in cui sia garantita la qualità e che ci sia congruenza fra l’alternanza e il percorso di studi. Non è possibile che uno studente vada solo a fare fotocopie, vada a trasportare lettini per sei ore sotto il sole, che sia sfruttato dalle multinazionali solo per fare profitti».

Non vengono risparmiati neanche i dirigenti scolastici. «I presidi dovrebbero individuare dei percorsi che possano offrire delle opportunità, non di lavoro ma di formazione. Questo è l’obiettivo della scuola perché l’istruzione deve tornare ad avere un valore sociale nel nostro paese. Per questo noi, scuola per scuola, stiamo conquistando degli statuti per denunciare il fatto che ancora il Ministero non sta facendo nulla. Noi come Uds abbiamo scritto anche un codice etico che tende ad eliminare dai percorsi scuola-lavoro tutte le aziende che hanno sfruttato i lavoratori, hanno licenziato, hanno inquinato l’ambiente o sono colluse con la mafia».

Un provvedimento tutto da rifare dunque? No, secondo gli studenti che propongono una lunga serie di modifiche.
«Siamo contrari al fatto che siano previsti 200 ore per i licei e 400 per gli istituti tecnici. Questo rimanda ad un’idea classista e divisiva della scuola, con le classi dirigenti rappresentate dagli studenti dei licei, e le classi che faranno solo manodopera con gli studenti dei tecnici. Vogliamo un’equiparazione perché 400 ore è una cosa folle in un paese come il nostro che non ha un tessuto produttivo adatto ad accogliere tutti questi studenti. Ogni singolo percorso deve essere stabilito da commissioni paritetiche all’interno delle scuole, di modo che anche gli studenti possano decidere dei loro percorsi in cui venga garantito che si apprendano delle competenze, anche pratiche perché è importante l’unione di sapere e saper fare».

Aziende dunque sotto accusa in questa giornata di mobilitazione nazionale degli studenti. Aziende che però difendono l’alternanza.
«Noi crediamo fortemente in questo provvedimento perché tutti gli attori si devono mettere d’accordo per fare dell’occupabilità giovanile il driver di crescita delle nostre imprese e del nostro Paese – spiega Giovanni Brugnoli, vice presidente di Confindustria con delega per il capitale umano. Confindustria ha voluto fortemente questo provvedimento. Ci siamo messi a disposizione per fare la nostra parte. Credere che un’impresa sfrutti gli studenti come lavoratori credo sia un retaggio di anni addietro. Non guardiamo alle nostre spalle, ma al nostro futuro e a quello delle nostre imprese».

Confindustria prende le distanze dalle aziende che mal gestiscono l’alternanza.
«In ogni categoria c’è del buono e meno buono. Abbiamo istituito anche un bollino della buona alternanza per le imprese che si mettono in luce in buoni percorsi di alternanza e faremo una classifica interna che raccolga le best practice. Ovviamente non condividiamo le imprese che possano avere comportamenti non consoni a questo istituto. Noi dobbiamo premiare chi utilizza nella maniera più corretta uno strumento che faccia in modo che i ragazzi apprendano in età scolare cosa significa entrare nel mondo del lavoro, in industria e capiscano quali cambiamenti siano in atto grazie a Industria 4.0. con nuovi investimenti e nuovi saperi».

Terzo anno scolastico di alternanza, è anche tempo di bilanci.
«Alcuni territori si sono particolarmente messi in buona luce perché hanno un tessuto imprenditoriale che è sempre stato vicino alla formazione» – spiega ancora Brugnoli. «Noi abbiamo fatto moral suasion in tutte le territoriali per fare in modo che la buona alternanza venga presa come una consuetudine da grandi, medie e piccole imprese. E’ chiaro che le piccole e medie imprese fanno sacrifici maggiori. Perciò cerchiamo di aumentare la base di imprese che partecipano ai percorsi».

Confindustria è infatti convinta che l’alternanza scuola-lavoro sia un pezzo di una politica necessariamente più ampia volta alla diminuzione della disoccupazione giovanile.
«L’alternanza va in questa direzione. Vogliamo che i ragazzi capiscano quanta industria e quanta bella industria c’è nel nostro paese e con il percorso dei tre anni riescano ad individuare una propria traiettoria di vita e attività lavorativa futura. Anche le scuole devono vedere le imprese come i partner ideali dei propri studenti per sondare qual è il grado di occupabilità e se la formazione in aula corrisponde alle esigenze delle imprese».